fr. Massimo Rossi Commento su Matteo 25,31-46 - "Cristo Re"

Commento su Matteo 25,31-46
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (23/11/2014)
Domenica scorsa abbiamo iniziato a riflettere sul giudizio finale: ricordate la famosa parabola del signore che affida i suoi averi ai servi, parte per un viaggio, e, quando torna, fa i conti con loro. Penultime parole del Signore ai Dodici, dicevo, prima del suo ingresso trionfale a Gerusalemme; le ultime sono quelle che abbiamo ascoltato oggi. Il successivo capitolo 26 inizia con il complotto contro Gesù; a seguire, il tradimento di Giuda,
l'ultima cena, etc. etc.
Le due parabole vanno sempre lette insieme, perché indicano le coordinate del nostro agire cristiano, rispettivamente, nei confronti di Dio e (nei confronti) degli uomini. Che poi, all'indomani dell'incarnazione, si tratta di un agire solo; servire gli uomini è servire Dio e viceversa. Lo ribadisce esplicitamente il Vangelo di oggi, solennità di Cristo Re; vi confesso che non avevo mai pensato che queste Parole del Signore sono una vera e propria profezia sulla sua passione: e non solo perché l'evangelista le inserisce pochi versetti prima del racconto della passione; ma perché, dopo il suo arresto, Gesù fu realmente carcerato, spogliato delle vesti, assetato, morente; e non ricevette alcun conforto, né dagli amici, tantomeno dai suoi carcerieri, i quali, al contrario, infierirono su di lui con inaudita ferocia.
Le situazioni descritte due volte in poche righe, sono quelle che rendono l'uomo più simile al Figlio di Dio, pertanto, oggetto di cura particolare da parte di Dio; ma dovrebbero muovere a compassione anche noi; contrariamente all'atteggiamento di molta gente, istintivamente restia ad avvicinarsi e fermarsi a guardare, senza passare oltre... (cfr. Lc 10,25-37).
Vorrei riuscire a spendere il tempo consentito per parlare di Cristo, visto che oggi è la sua festa più importante: alla luce delle letture, come ve lo immaginate Cristo Re?
Non voglio tendere trappole a nessuno, ma la risposta è veramente difficile, perché la questione è a dir poco ambigua; provo a spiegarmi: san Paolo scrive ai cristiani di Corinto e annuncia la risurrezione di Cristo dai morti, primizia di coloro che sono morti. Per san Paolo il Re dell'universo è il Cristo risorto, senza alcun dubbio! Senonché, l'iconografia ufficiale recepisce le affermazioni dei Vangeli secondo le quali, il Re (dei Giudei) è il Crocifisso: la sua corona è un fascio di spine conficcate sul capo, il suo trono il patibolo ignominioso... sulla croce c'era pure la scritta con il motivo della condanna, I.N.R.I. Gesù Nazareno, Re (dei Giudei).
In verità, le due realtà non si possono separare: la morte in croce è dono del Figlio al Padre e a tutti gli uomini; la risurrezione è invece dono del Padre al Figlio e a tutti gli uomini. Senza la prima, la seconda non poteva esserci! nostro malgrado... Nel senso che tutti nutriamo la speranza di risorgere l'ultimo giorno; al contrario, la consapevolezza che, per poter risorgere, tutti dovremo morire ci entusiasma decisamente di meno.
"È necessario che Cristo regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.": è un'espressione sibillina, non c'è che dire! Paolo fa spesso affermazioni di questo genere. Tentando una spiegazione, penso che (Paolo) alluda alla lotta che Cristo da sempre intenta contro le forze del male; lo ha fatto nei brevi anni della sua vita mortale, ma continua ancora a farlo, secondo la promessa fatta agli apostoli, prima della sua ascensione: "Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo." (Mt 28,20).
Ecco il punto! La regalità di Cristo non è una verità soltanto ultraterrena, la regalità di Cristo si realizza e si manifesta già qui, già ora! ce ne siamo accorti? Percepiamo questa presenza forte, rassicurante, che incoraggia anche noi a lottare, contro le forze del male, senza gettare la spugna?
"Ora è tempo di gioia, non ve ne accorgete? Ecco, faccio una cosa nuova: nel deserto una strada aprirò.": sono le parole di una vecchio canto di chiesa, tratte da una profezia di Isaia (43,19). La grande sfida che il Vangelo di oggi lancia ai cristiani è saper cogliere l'hodie, l'oggi della salvezza!
È una salvezza che il Signore ha inaugurato 20 secoli fa, la domenica che uscì dal sepolcro...
Ci vuole proprio una gran fede per vivere il mistero della resurrezione come un fatto che ci appartiene, che fa parte della vita presente, e non solo come qualcosa che accadde 2000 anni fa e che (forse) conosceremo di persona dopo la nostra morte.
Proviamo a pensare: se il valore della risurrezione interessasse solo la vita oltre la morte, quale sarebbe il tanto decantato senso cristiano della vita? Dovremmo con rammarico riconoscere che avevano ragione i Maestri dell'ateismo moderno, i quali accusano la Chiesa di avere inventato i Vangeli, la religione, illudendo generazioni e generazioni di povera gente con la promessa della redenzione futura.
Se le cose stessero proprio così, vana sarebbe questa nostra vita e vana sarebbe stata anche la vicenda terrena del Verbo fatto carne! Se in ultima analisi i giochi si fanno tutti nell'aldilà, a che serve - perdonate la retorica - giocare la partita della vita?
Appunto, serve, perché la vita terrena non finisce con la morte e la vita eterna non comincia dopo la morte. La nascita è l'inizio di una vita che non finisce; la morte è il passaggio dalla dimensione finita a quella eterna; ma, lo ripeto, la vita è una sola, questa!
Ecco, mi ero ripromesso che avrei parlato solo di Cristo, e mi sorprendo a parlare di noi...
In verità non sono andato fuori tema: è ancora san Paolo che insegna: "Per me il vivere è Cristo!"; e il Vangelo di oggi ne è l'ennesima riprova: l'emarginato delle nostra società è Cristo, il profugo che sbarca sulle nostre coste è Cristo, l'affamato che chiede l'elemosina sui nostri marciapiedi è Cristo, il recluso nelle nostre carceri superaffollate è Cristo...
Queste persone - sono persone! - rappresentano per noi altrettante occasioni per incontrare il Cristo in carne e ossa! Il già citato versetto 20 del cap.28 di Matteo, le ultime parole del Risorto prima di salire al cielo, trovano così la loro realizzazione.
Volenti o nolenti, dobbiamo fare i conti con questo Cristo delle strade! Ci conviene farli subito; aspettare l'ultimo giorno, il giorno del "redde rationem" potrebbe essere troppo tardi...
È parola del Signore!

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