Don Marco Ceccarelli, “Il Discorso della montagna”,

IV Domenica Tempo Ordinario “A” – 29 Gennaio 2017 I Lettura: Sof 2,3; 3,12-13 II Lettura: 1Cor 1,26-31 Vangelo: Mt 5,1-12 - Testi di riferimento: Dt 7,7; 1Sam 16,7; Sal 35,10; 37,11; 40,18; 70,6; Pr 11,18; 16,19; Is 57,15; 61,1-3; Mt 10,22-25; 11,5.29; 19,14; 21,5; 25,31-46; Mc 10,14; 14,6-8; Lc 12,32; At 5,41; Rm 9,27; 2Cor 1,7; 4,17; 6,10; 8,9; 1Ts 2,15; 1Tm 6,17; Gc 1,12; 2,5; 1Pt 2,19; Ap 2,9; 21,4 1. 
Il Vangelo delle Beatitudini. Il brano di Vangelo odierno inaugura il primo lungo insegnamento
presente in Mt chiamato “discorso della montagna”, nel quale si presenta la retta interpretazione della torah. Occorre tenere sempre presente che l’insegnamento di Gesù è finalizzato a delucidare in cosa consista quel “regno dei cieli” che costituisce l’oggetto fondamentale della sua predicazione. Gesù dichiara così innanzitutto chi sono i beati, vale a dire coloro che avendo il giusto atteggiamento potranno accogliere la vera conoscenza della volontà di Dio, obbedendo alla quale si è beati, si è nella benedizione. Beati i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, ecc. perché sono nel giusto atteggiamento per poter accogliere la rivelazione di Cristo ed entrare nel regno. Il regno già appartiene a loro («di essi è il regno dei cieli»: vv. 3.10), anche se non lo possiedono ancora. Il “Vangelo del regno” (Mt 4,23) è per tutti, e tutti vi possono entrare. Di fatto però non tutti lo accoglieranno. All’interno dello stesso Israele non tutti faranno parte del regno, come si evince da testi tipo la parabola di Mt 22,1-14. 2. La particolarità delle beatitudini di Gesù. - Nell’Antico Testamento si offrono spesso definizioni di cosa significhi “essere beato”. Ciò equivale più o meno a quello che noi intendiamo per “essere felici”, avere cioè una esistenza piena, realizzata. La beatitudine è la felicità, qui e ora. E questa si raggiunge imparando a vivere bene, a vivere secondo sapienza. La sapienza è l’arte del vivere che rende l’uomo felice. Aver imparato a vivere è ciò che permette di realizzare al massimo delle possibilità, nei limiti che l’esistenza umana comporta, la vita beata. E avere imparato a vivere significa, nella Scrittura, in definitiva vivere secondo la volontà di Dio. L’idea di una beatitudine ultraterrena è quasi assente nell’Antico Testamento. Non così nell’insegnamento di Gesù. Da un lato egli identifica la vita beata con l’appartenenza al regno dei cieli; e tale appartenenza si attua nel presente, nella vita terrena. I beati sono perciò i figli del regno (Mt 13,38), quelli cioè che appartengono ad esso. D’altro lato le beatitudini rimandano ad un futuro. Nel regno di Dio si entra fin da ora, e farne parte è già essere nella beatitudine, perché già si sperimenta la sovranità di Dio sulla propria esistenza. E tuttavia esso avrà il suo compimento in cielo. Così le beatitudini costituiscono l’inizio dei discorsi di Gesù e stanno in qualche modo in parallelo con la conclusione dei suoi discorsi in Mt 25,31ss., dove si parla dei “benedetti dal Padre mio” che prendono possesso del regno (v. 34). - Un’altra differenza rispetto all’Antico Testamento è che le beatitudini di Gesù non sono primariamente frutto di un impegno umano. Esse più che un implicito comando ad essere qualcosa o a comportarsi in un certo modo, “fotografano” una situazione. Le beatitudini dicono “Beati i poveri”, non “Dobbiamo essere poveri”. Nelle beatitudini non abbiamo imperativi, ma semplicemente la constatazione di un dato di fatto. Gesù dice: Fra tutti coloro che sono venuti a me, beati coloro che sono in questa situazione, poveri in spirito, afflitti, ecc., perché sono nella giusta condizione per accogliere quello che io porto, cioè il regno dei cieli. Beati quelli che si trovano così, perché Dio sta con quelli che hanno lo spirito abbattuto (Is 57,15), perché ai poveri è predicata la buona notizia (Is 61,1) perché gli afflitti stanno per essere consolati dalla presenza del Messia (Is 61,2-3), perché ai miti viene data la terra (Sal 37,11), ecc. Vale a dire: Dio sta dalla parte di coloro che rimangono saldi nella speranza delle promesse di Dio e non si volgono a cercare una soluzione umana alla loro condizione di precarietà. Le beatitudini significano questo: Beati quelli che hanno continuato a sperare nelle  promesse di Dio, perché ora si stanno per realizzare (cfr. Dn 12,12: “Beato chi aspetterà …”). Con Cristo è arrivato il compimento delle speranze di Israele. Il regno dei cieli è un dono gratuito da parte di Dio. - Tuttavia, anche se le Beatitudini non sono né un moralismo né un “comandamento”, si prestano comunque ad un serio esame di coscienza. I valori ribaltati che esse presentano non possono non costituire una chiamata a conversione (l’avvento del regno implica la chiamata a conversione). Se io ho sempre pensato che sono felici i ricchi, i potenti, quelli che si divertono, quelli che sanno farsi giustizia, quelli che non sono perseguitati da nessuno, magari perché hanno amici influenti, e quindi ho impostato la vita secondo questi valori, l’avvento del regno mette in crisi questo stato di cose. Davanti alle beatitudini, ma soprattutto davanti ai “beati” descritti dalle beatitudini, tutti sono chiamati a rivalutare la prospettiva del loro vivere morale. Perché se non mi trovo nelle giuste condizioni per accogliere il regno dei cieli rischio seriamente di rimanerne escluso (25,41ss.). 3. L’appartenenza al regno. - Sebbene il regno dei cieli sia accessibile a tutti, tuttavia alcuni (molti o pochi?) ne rimangono fuori. Il regno appare come qualcosa di non attraente. Ben più attraenti appaiono altre realtà. La Chiesa, quella Chiesa che non è semplicemente la somma di tutti i battezzati, ma l’insieme di coloro che veramente appartengono al regno dei cieli, è e sarà sempre un resto (prima lettura). E questo perché pochi sono coloro che entrano per la via stretta che conduce al regno (Mt 7,14). Le cose di Dio appaiono come una stoltezza (seconda lettura). Abbiamo delle categorie che ci vengono dalla nostra formazione, dall’ambiente in cui siamo cresciuti e viviamo; e attraverso tali categorie giudichiamo le cose, valutiamo la realtà e prendiamo decisioni. E normalmente queste categorie non sono quelle di Dio. Per questo valutiamo anche le cose di Dio con le categorie nostre; e in base a queste categorie stimiamo che l’appartenenza al regno non è così conveniente. Per questo anche noi, alla luce delle beatitudini, possiamo chiederci seriamente se apparteniamo al regno. Non chiunque dice “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli (Mt 7,21). - Il regno dei cieli è per quei poveri, quegli umili, che pongono la loro fiducia in Dio, che si aspettano la giustizia da Lui. In altre parole, il regno dei cieli è per coloro che in un certo senso non appartengono ai regni umani, che non si aspettano la loro salvezza dagli uomini. I poveri, gli anawim (prima lettura), sono gli esclusi dalla giustizia umana. Gli anawim spirituali sono quelli che volontariamente si pongono in questa condizione, quelli che cercano la anawah (Sof 2,3), la condizione di povertà-umiltà. Ma forse per noi queste cose sono una stoltezza. Anche se non lo diciamo, e anche se rimaniamo colpiti dall’insegnamento di Cristo, nel nostro agire quotidiano le cose vanno in tutt’altro modo. 4. In definitiva Gesù è colui che incarna le beatitudini. Egli è il povero per eccellenza, il “mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Egli ha mostrato cosa significhi porre la propria fiducia totalmente in Dio. Egli, «da ricco che era si è fatto povero per causa nostra» (2Cor 8,9). Anche se andava ai banchetti, entrava nelle case dei ricchi, mangiava con i peccatori, faceva festa, egli è colui che davanti all’unzione della donna di Betania si rivela come il povero per eccellenza (Mt 26,9-11) che sta per andare a soffrire una morte ingiusta, senza far ricorso a una difesa umana, ma ponendo tutta la sua speranza in Dio. I discepoli di Cristo sono coloro che seguono le orme del povero (1Pt 2,21ss.). Anche se difficilmente entrerà nel regno dei cieli chi ha ricchezze (Mt 19,23), i ricchi di questo mondo, come doveva essere Matteo (Mt 9,9), come era Zaccheo (Lc 19,2.8), possono entrare nel regno, possono accogliere la salvezza accogliendo Cristo e rinunciando a porre la propria fiducia nella ricchezza; «ai ricchi di questo mondo raccomanda … di non porre la speranza nell’incertezza delle ricchezze ma in Dio» (1Tm 6,17).

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/

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