FIGLIE DELLA CHIESA, LectioDivina"I miei occhi hanno visto la tua salvezza"


La Liturgia della Festa
BENEDIZIONE DELLE CANDELE E PROCESSIONE 
Antifona d'ingresso
Il Signore nostro Dio verrà con potenza,
e illuminerà il suo popolo. Alleluia.


Fratelli carissimi, sono passati quaranta giorni dalla solennità del Natale. Anche oggi la Chiesa è in festa, celebrando il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio. Con quel rito il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede. Guidati dallo Spirito Santo, vennero nel tempio i santi vegliardi Simeone e Anna; illuminati dallo stesso Spirito riconobbero il Signore e pieni di gioia gli resero testimonianza. Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria.

Dopo l’esortazione il sacerdote benedice le candele, dicendo a mani giunte la seguente orazione:

Preghiamo.
O Dio, fonte e principio di ogni luce,
che oggi hai rivelato al santo vecchio Simeone
il Cristo, vera luce di tutte le genti,
benedici + questi ceri e ascolta le preghiere del tuo popolo,
che viene incontro a te con questi segni luminosi
e con inni di lode; guidalo sulla via del bene,
perché giunga alla luce che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.

Oppure:
Preghiamo.
O Dio, creatore e datore di verità e di luce,
guarda noi tuoi fedeli riuniti nel tuo tempio
e illuminati dalla luce di questi ceri,
infondi nel nostro spirito lo splendore della tua santità,
perché possiamo giungere felicemente alla pienezza della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore

Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
guarda i tuoi fedeli riuniti nella festa della Presentazione al tempio
del tuo unico Figlio fatto uomo,
e concedi anche a noi di essere presentati a te
pienamente rinnovati nello spirito.

PRIMA LETTURA – Mal 3,1-4
Dal libro del profeta Malachìa
Così dice il Signore Dio: 1«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. 2Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.
3Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. 4Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».

Dal Salmo 23 (24)
Rit.: Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria. Rit.

Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia. Rit.

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria. Rit.

Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria. Rit.

SECONDA LETTURA – Eb 2,14-18
Dalla lettera agli Ebrei
14Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, 15e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
16Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. 17Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
18Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

Canto al Vangelo (Lc 2,30.32)
Alleluia, alleluia.
I miei occhi hanno visto la tua salvezza:
luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele.
Alleluia, alleluia.

VANGELO – (Lc 2,22-44)
I miei occhi hanno visto la tua salvezza
Dal Vangelo secondo Luca

22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 216Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, 30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, 31preparata da te davanti a tutti i popoli: 32luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – 35e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. 37Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Preghiera sulle offerte
Accogli, o Padre, i nostri doni e guarda la tua Chiesa,
che per tuo volere ti offre con gioia il sacrificio del tuo unico Figlio,
Agnello senza macchia per la vita del mondo.

PREFAZIO
Cristo luce delle genti.

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Il tuo unico Figlio, generato nei secoli eterni,
presentato oggi al tempio, è proclamato dallo Spirito Santo
gloria d’Israele e luce dei popoli.
E noi esultanti andiamo incontro al Salvatore
e con l’assemblea degli angeli e dei santi
cantiamo senza fine l’inno della tua lode: Santo...

Antifona di comunione
I miei occhi hanno visto la salvezza,
da te preparata davanti a tutti i popoli. (Lc 2,30-31)

Preghiera dopo la comunione
O Dio, che hai esaudito l’ardente attesa del santo Simeone,
compi in noi l’opera della tua misericordia;
tu che gli hai dato la gioia di stringere tra le braccia,
prima di morire, il Cristo tuo Figlio,
concedi anche a noi con la forza del pane eucaristico
di camminare incontro al Signore, per possedere la vita eterna.

Lectio
Nel tempio di Gerusalemme l’evangelista Luca colloca momenti significativi della rivelazione di Gesù fin dai primi momenti della sua vita. L’incontro con Simeone è occasione di un importante messaggio cristologico. Il sapore pasquale di questo episodio viene ricordato dalla legge sui primogeniti, esplicitamente richiamata con la citazione di Es 13. Questo rito di presentazione è un memoriale pasquale. L’anziano Simeone è simbolo del popolo eletto che persevera nella fedeltà. Egli indica Gesù come la ‘salvezza’, la ‘luce delle nazioni’ e ‘gloria’ del suo popolo.
Nella prima lettura, il profeta Malachia presenta la purificazione che il Signore opererà ai suoi figli. Innanzitutto si dice che i destinatari della purificazione sono specificamente i figli di Levi, la tribù sacerdotale, a cui, in Deuteronomio 33 era assegnata la responsabilità del culto israelitico, un culto senza contaminazione con altre divinità. Questi sono i giorni antichi e gli anni lontani cui allude il v. 4, i giorni degli inizi e della fedeltà a cui il culto verrà riportato a una piena restaurazione. Il gradimento dell’offerta è legato a questa celebrazione in assoluta fedeltà.
Nella lettera agli Ebrei (seconda lettura), Gesù partecipa della nostra umanità per poter essere sommo sacerdote misericordioso e fedele. La vittoria di Gesù è sul detentore e responsabile della morte: il diavolo. L’amore è la sintesi delle caratteristiche sacerdotali di Gesù.

v.25: Vi è un legame stretto tra Simeone e lo Spirito Santo. Nei racconti lucani dell’infanzia lo Spirito è dono a coloro che devono svolgere un ruolo particolare nei confronti del Messia. Anche a Simeone tocca un servizio da rendere al Messia: lo deve proclamare come gloria di Israele e luce delle nazioni.

v.29: La punta teologica del Nunc dimittis è che Dio è stato fedele e ha portato a compimento ciò che aveva detto. Ma è molto importante che la condizione in cui Simeone pronuncia il Nunc dimittis sia quella dell’essere servo, schiavo nei confronti del Signore; questa è la condizione in cui anche noi dobbiamo entrare per fare nostro in verità questo canto. Simeone si sente schiavo, servo di Dio e chiama il Signore ‘Padrone’ (in greco dèspota), cioè comandante senza limiti, padrone assoluto degli schiavi, usando un termine molto più raro rispetto a Kyrios (Signore) come appellativo di Dio. Simeone si rivolge a Dio come colui che può tutto, che è il padrone e Signore assoluto, e gli chiede di lasciare andare ormai il suo servo nella pace. L’opera di salvezza è pienamente compiuta e Simeone può ora morire nella pace: non lui ha compiuto l’opera, egli anzi non ha portato nulla a compimento, ma l’opera è stata compiuta e realizzata da Dio. È Dio che ha compiuto tutto. Simeone ricorda a tutti noi che il servo di Dio sa che è il Signore che porta tutto a compimento e che lui può solo riconoscere l’opera di Dio e rendere grazie perché veramente importante è ciò che Dio compie.

v.30: L’evento vissuto in quel momento da Simeone, vedere la salvezza di Dio, è evento che racchiude tutta la storia; il vecchio Simeone riconosce che fino a questo momento Dio ha preparato, ha messo in atto la preparazione della salvezza per il suo popolo santo e ora cessano tutti i tempi della preparazione da Abramo in poi. Ormai la salvezza è un evento, è realtà qui e ora, in quel bambino.

v.31: Ciò che vedono gli occhi di Simeone sarà visto da ogni carne, sarà visto da tutta la terra, da tutti i popoli. Anzi, i popoli parteciperanno a questa salvezza e l’accoglieranno nelle loro braccia come Simeone l’ha riconosciuta e accolta nel bambino, dunque sotto le spoglie e i segni dell’umiltà, povertà e abbassamento che è anche il sigillo dello scandalo della croce. Simeone aveva davanti a sé solo un bambino, ma è lì che ha riconosciuto la salvezza e vi ha partecipato prendendolo tra le sue braccia. I popoli della terra avranno davanti a sé un crocifisso, la stoltezza della croce, lo scandalo e la follia della croce, ma è lì che dovrà essere riconosciuta la salvezza, e vi si parteciperà abbracciando la croce. Luca lascia intravedere che nel bambino c’è già lo scandalo della croce.

v.32: Con queste parole Simeone attesta che Gesù è il Servo di JHWH, lo schiavo profetizzato da Isaia, di cui si era detto che era luce, rivelazione e gloria. Il Servo è innanzitutto luce. Dice infatti il primo canto del Servo: ‘Io ti ho stabilito luce delle genti’ (Is 42) e il terzo canto riprende: ‘Io ti renderò luce delle genti perché tu porti la salvezza fino alle estremità della terra’ (Is 49). Il compito del bambino è il compito del Servo, un compito che supera i confini di Israele e si estende fino ai pagani, per i quali è rivelazione.
Cosa significa per noi il Nunc dimittis? Significa confessare che, avendo creduto in Dio, per noi è ormai indifferente morire o vivere, perché per fede sappiamo di non vedere più la morte. Per il credente la vera morte sta alle spalle ed è nel suo battesimo, per cui la morte che ci sta davanti non deve più essere motivo di paura. Andando a dormire, noi ci prepariamo a un momento di impotenza in cui non siamo padroni di nulla, ci apprestiamo al sonno che, secondo la Bibbia, è figura e profezia della morte. Allora ci prepariamo ad andare verso la morte come all’incontro con il Signore. Noi confessiamo il Signore come padrone della nostra vita, colui che per la sua potenza può ogni giorno chiamarci a sé, e così impariamo a fare della nostra vita un’offerta, nulla più che un servizio da cui possiamo chiedere di essere congedati. E chiedere ogni sera di essere congedati dal servizio del Signore ci insegna che non sta a noi finire l’opera, ma che a noi spetta solamente credere e confessare che l’opera di Dio è stata da lui compiuta e portata a termine in noi.
Dicendo che il bambino sarà segno cui verrà fatta opposizione, che sarà osteggiato e contraddetto, Simeone rivela che la salvezza si può respingere e il segno dato da Dio può essere rifiutato. Dio non vuole essere servito da schiavi costretti, ma vuole uomini liberi che liberamente si fanno schiavi per lui. Ci saranno molti che non crederanno e Dio non lo impedirà loro, ma li lascerà sulle loro strade, perché non c’è violenza e costrizione da parte di Dio. Maria ne soffrirà e una spada le trafiggerà l’anima, che significa soprattutto che là, sotto la croce, avverrà la divisione tra l’Israele che rigetta il Messia da una parte e dall’altra l’Israele credente; Giovanni, il discepolo amato e Maria accanto ai pagani che gridano con il centurione: ‘Veramente quest’uomo era figlio di Dio’ e giungono alla fede.

v.35: Maria è figura di Israele ed è anche figura della chiesa, ma ciò che in lei stessa è unito, nella storia è diviso. E la chiesa resta nella storia distinta e separata anche dall’Israele credente e fedele che non riconosce ancora in Gesù il Messia e questa separazione resta viva. Maria ha nella storia, in sé, questa separazione e anticipa nella sua figura quell’unità che ancora non c’è. Perché l’Israele timorato di Dio, l’Israele dei poveri che attende ancora il Messia resta Israele e la chiesa dei vari credenti è e rimane la chiesa e i due non formano ancora l’unico popolo di Dio.

v.36: Anna è figura sia d’Israele che di tutta l’umanità che ha perso lo sposo e vive una vita esiliata dal volto del suo desiderio. Ma non lascia mai il tempio e continua ad attendere e cercare, con digiuni e preghiere, con dolore e desiderio, notte e giorno. L’incontro avviene in quell’ora in cui Simeone predice la croce, l’ora della contraddizione. È qui che Dio si presenta definitivamente al suo popolo.

v.38: Nella prospettiva del terzo evangelista, attento ai poveri e alle donne, Anna rappresenta il mondo femminile dei giusti in Israele. Per Luca è importante segnalare la presenza di questa figura di donna evangelizzatrice. Il Signore, presentato al tempio e riconosciuto come salvezza di Dio e gloria di Israele, per diventare luce dei popoli ha bisogno anche di umili credenti che comunichino con semplicità la loro esperienza di fede.

Appendice
Ma Dio non avrebbe potuto creare l’uomo perfetto fin dall’inizio? È chiaro che, per quanto riguarda Dio, tutto sarebbe possibile. Ma gli esseri creati, per il fatto stesso che hanno ricevuto il loro inizio di esistenza, sono necessariamente inferiori a Colui che li ha fatti […]. Appena prodotti, sono piccoli bambini e, in quanto tali, non sono abituati né esercitati a una condotta perfetta (Ireneo, Contro le eresie, 4,38,1).

Per riguardo alla nostra debolezza, nell’abisso di ricchezza della sua sapienza, nei giudizi imperscrutabili della sua intelligenza, Dio ci dà questa dolce ed armoniosa educazione: ci abitua prima a vedere le ombre dei corpi ed a guardare nell’acqua il sole, per paura che, applicandoci subito a contemplare la pura luce, i nostri occhi siano ottenebrati. Così la Legge e i Profeti sono concepiti come esercizio degli occhi del cuore, perché da queste ombre ci diventi più facile il passaggio alla sapienza, che in pieno si cela nel mistero (Basilio di Cesarea, Trattato sullo Spirito Santo, 14, 128a).

Fino a tanto che io non possedevo il Cristo, fino a tanto che non lo stringevo fra le braccia, ero imprigionato e non potevo liberarmi dai miei legami. […] Se qualcuno lascia il mondo, se qualcuno è liberato dalla dimora dei prigionieri per ottenere di appartenere al regno, prenda Gesù con le sue mani e lo cinga con le sue braccia, lo tenga tutto intero dentro il suo cuore, e allora, saltando dalla gioia, potrà recarsi dove desidera (Origene, Trattato sul Vangelo di Luca, 15, 1-5).

Ma questa offerta, fratelli, sembra abbastanza delicata: è presentata al Signore, è pagata con uccelli, ed è subito riportata a casa. Verrà il giorno che non sarà offerta nel tempio, né tra le braccia di Simeone, ma fuori le mura e sulle braccia della croce. Verrà il giorno che non sarà riscattato da sangue altrui, ma riscatterà gli altri col suo sangue, perché Dio padre lo mandò come riscatto del suo popolo.[…] Anche ora non è stato offerto perché ce ne fosse bisogno, non perché egli fosse soggetto alla legge, ma perché lo volle lui. E in croce non ci fu innalzato perché l’aveva meritato, non perché il Giudeo riuscì a crocifiggerlo, ma perché lo volle lui. […] Anche noi, dunque, facciamo quanto possiamo, offrendo a lui il nostro meglio, offriamo ciò che noi siamo (Bernardo di Chiaravalle, De purificatione B.M., Sermo III, 2-3).

Possiamo ricavare alcuni spunti sulla preghiera, sul rapporto con Dio, della Santa Famiglia dai racconti evangelici dell’infanzia di Gesù. Possiamo partire dall’episodio della presentazione di Gesù al tempio. San Luca narra che Maria e Giuseppe, «quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore» (2,22). Come ogni famiglia ebrea osservante della legge, i genitori di Gesù si recano al tempio per consacrare a Dio il primogenito e per offrire il sacrificio. Mossi dalla fedeltà alle prescrizioni, partono da Betlemme e si recano a Gerusalemme con Gesù che ha appena quaranta giorni; invece di un agnello di un anno presentano l’offerta delle famiglie semplici, cioè due colombi. Quello della Santa Famiglia è il pellegrinaggio della fede, dell’offerta dei doni, simbolo della preghiera, e dell’incontro con il Signore, che Maria e Giuseppe già vedono nel figlio Gesù. (Dalla Catechesi di Benedetto XVI, 27 dicembre 2011)

Tu sei il mio incontro. Questa festa non è soltanto la festa dell’attesa, ma è anche la festa dell’incontro. Noi dobbiamo vivere questa speranza. E anche quando diciamo al Signore nella notte: “Tu sei la mia luce”, proprio perché ho bisogno della luce, paradossalmente il buio mi fa dire che Tu sei la luce anche quando sembra che i nostri desideri vengano come disancorati e perdano la loro forza perché il Signore possa apparirci ancora di più come la nostra attesa; tutto questo però non rimane perennemente interlocutorio. Qualche volta anche in una maniera profonda, anche se non in una maniera così visibile e sensibile, il Signore ci dà il senso che Egli è il nostro incontro perché ci sorregge, perché ci dà una pace, perché ci dà una tranquillità, perché ci dà una speranza, perché ci dà una serenità. E in ogni caso la nostra vita è fatta per l’incontro come per Simeone, come per Anna. Pensiamolo per noi, pensiamolo per i nostri cari e pensiamo che questo incontro che magari quelli che ci hanno lasciato hanno già realizzato, li rende ancora più vicini a noi. Sentiamo che così vicini al Signore non possono non prendersi a carico di noi. E questa è la grande invenzione del Signore, l’invenzione della Comunione dei Santi (G. Moioli, Omelia inedita, gen.’83).

Davanti al nostro sguardo c’è un fatto semplice, umile e grande: Gesù è portato da Maria e Giuseppe al tempio di Gerusalemme. E’ un bambino come tanti, come tutti, ma è unico: è l’Unigenito venuto per tutti. Questo Bambino ci ha portato la misericordia e la tenerezza di Dio: Gesù è il volto della Misericordia del Padre. È questa l’icona che il Vangelo ci offre al termine dell’Anno della Vita Consacrata, un anno vissuto con tanto entusiasmo. Esso, come un fiume, ora confluisce nel mare della misericordia, in questo immenso mistero di amore che stiamo sperimentando con il Giubileo straordinario.
La festa odierna, soprattutto nell’Oriente, viene chiamata festa dell’incontro. In effetti, nel Vangelo che è stato proclamato, vediamo diversi incontri (cfr Lc 2,22-40). Nel tempio Gesù viene incontro a noi e noi andiamo incontro a Lui. Contempliamo l’incontro con il vecchio Simeone, che rappresenta l’attesa fedele di Israele e l’esultanza del cuore per il compimento delle antiche promesse. Ammiriamo anche l’incontro con l’anziana profetessa Anna, che, nel vedere il Bambino, esulta di gioia e loda Dio. Simeone ed Anna sono l’attesa e la profezia, Gesù è la novità e il compimento: Egli si presenta a noi come la perenne sorpresa di Dio; in questo Bambino nato per tutti si incontrano il passato, fatto di memoria e di promessa, e il futuro, pieno di speranza.
Possiamo vedere in questo l’inizio della vita consacrata. I consacrati e le consacrate sono chiamati innanzitutto ad essere uomini e donne dell’incontro. La vocazione, infatti, non prende le mosse da un nostro progetto pensato “a tavolino”, ma da una grazia del Signore che ci raggiunge, attraverso un incontro che cambia la vita. Chi incontra davvero Gesù non può rimanere uguale a prima. Egli è la novità che fa nuove tutte le cose. Chi vive questo incontro diventa testimone e rende possibile l’incontro per gli altri; e si fa anche promotore della cultura dell’incontro, evitando l’autoreferenzialità che ci fa rimanere chiusi in noi stessi.
Il brano della Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato, ci ricorda che Gesù stesso, per farsi incontro a noi, non ha esitato a condividere la nostra condizione umana: «Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe» (v. 14). Gesù non ci ha salvati “dall’esterno”, non è rimasto fuori dal nostro dramma, ma ha voluto condividere la nostra vita. I consacrati e le consacrate sono chiamati ad essere segno concreto e profetico di questa vicinanza di Dio, di questa condivisione con la condizione di fragilità, di peccato e di ferite dell’uomo del nostro tempo. Tutte le forme di vita consacrata, ognuna secondo le sue caratteristiche, sono chiamate ad essere in stato permanente di missione, condividendo «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono» (Gaudium et spes, 1).
Il Vangelo ci dice anche che «il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui» (v. 33). Giuseppe e Maria custodiscono lo stupore per questo incontro pieno di luce e di speranza per tutti i popoli. E anche noi, come cristiani e come persone consacrate, siamo custodi dello stupore. Uno stupore che chiede di essere sempre rinnovato; guai all’abitudine nella vita spirituale; guai a cristallizzare i nostri carismi in una dottrina astratta: i carismi dei fondatori – come ho detto altre volte – non sono da sigillare in bottiglia, non sono pezzi da museo. I nostri fondatori sono stati mossi dallo Spirito e non hanno avuto paura di sporcarsi le mani con la vita quotidiana, con i problemi della gente, percorrendo con coraggio le periferie geografiche ed esistenziali. Non si sono fermati davanti agli ostacoli e alle incomprensioni degli altri, perché hanno mantenuto nel cuore lo stupore per l’incontro con Cristo. Non hanno addomesticato la grazia del Vangelo; hanno avuto sempre nel cuore una sana inquietudine per il Signore, un desiderio struggente di portarlo agli altri, come hanno fatto Maria e Giuseppe nel tempio. Anche noi siamo chiamati oggi a compiere scelte profetiche e coraggiose.
Infine, dalla festa di oggi impariamo a vivere la gratitudine per l’incontro con Gesù e per il dono della vocazione alla vita consacrata. Ringraziare, rendimento di grazie: Eucaristia. Com’è bello quando incontriamo il volto felice di persone consacrate, magari già avanti negli anni come Simeone o Anna, contente e piene di gratitudine per la propria vocazione. Questa è una parola che può sintetizzare tutto quello che abbiamo vissuto in questo Anno della Vita Consacrata: gratitudine per il dono dello Spirito Santo, che sempre anima la Chiesa attraverso i diversi carismi.
Il Vangelo si conclude con questa espressione: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (v. 40). Possa il Signore Gesù, per la materna intercessione di Maria, crescere in noi, e aumentare in ciascuno il desiderio dell’incontro, la custodia dello stupore e la gioia della gratitudine. Allora altri saranno attratti dalla sua luce, e potranno incontrare la misericordia del Padre. (Papa Francesco, Omelia del 2 febbraio 2016)

Fonte:http://www.figliedellachiesa.org/

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