Monsignor Francesco Follo, "Conversione non è solo pentimento è risposta alla vocazione"

VENERDÌ 20 GENNAIO 2017
Conversione non è solo pentimento è risposta alla vocazione
III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 22 gennaio 2017
Rito Romano 
Is 8,23b - 9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13. 17; Mt 4,12-23

Rito Ambrosiano
Es 16,2-7a.13b-18-17; Sal 104; 2Cor 8, 7-15; Lc 9,10b-17
III Domenica dopo l’Epifania
 1) Conversione e Carità.
 Domenica scorsa il Vangelo di San Matteo ci ha ricordato che Cristo Gesù è l’Agnello di Dio che
porta via il peccato del mondo. In questa Domenica lo stesso Evangelista ci propone le prime parole della predicazione di Gesù, Agnello senza macchia, che ha preso su di sé il peccato e che dice: “Convertitevi (in greco “metanoeite”), perché il Regno dei Cieli è vicino” (Mt 4, 17).
 Il verbo greco usato da San Matteo ha come sostantivo “metanoia”, cioè “cambiamento di mente”, ed indica che la penitenza è profondo e completo mutamento della mente e del cuore sotto l’influsso della parola di Dio e nella prospettiva del Regno dei Cieli.
 Non va però dimenticato che penitenza vuol dire anche cambiamento di vita in coerenza con quello del cuore. E dunque se la penitenza è la conversione che passa dal cuore alle opere e, quindi, all’intera vita del cristiano, si può giustamente affermare che non si ha vita cristiana senza conversione.
 A questo punto è importante precisare che è la carità che fa la vita cristiana e che la carità è conversione, perché tutto il nostro essere si volge a Dio. Nella conversione il nostro cuore e la nostra mente si rivolgono completamente a Dio. “Conversio” vuol dire volgersi. Che cos’è questo volgersi? Il voltarsi verso Cristo non è tanto un moto materiale, è un movimento spirituale dal male al bene, con il fermo proposito di vivere di Lui, in Lui e per Lui.
 Noi dobbiamo quindi interpretare l’imperativo d’amore: “Convertitevi” solamente come l’invito a pentirsi dei propri peccati, è l’indicare la necessità di rivoluzionare la vita. E’ come se Gesù dicesse: “Cambiate logica”, “Cambiate strade, non vedete che quella dove siete è un cammino che non conduce alla vita ma alla morte?” E’ l’offerta di un'opportunità: “Venite con me. Dove sono io la vita c’è, è vera e duratura”.
 E’ questo quello che il Redentore intende dire: “Cambiate modo di pensare e di agire perché il regno si è fatto vicino. Che cos’è il regno dei cieli, o di Dio? È la vita vera che fiorisce in tutte le sue forme. Il regno è di Dio, ma è per gli uomini che Dio ama paternamente e eternamente, davvero per sempre.
 Va tenuto presente che la conversione non è fatto una volta per tutte, è la vocazione della vita. Qualcuno può pensare che una volta battezzato, nella vita di comunione con Cristo, nei Sacramenti, nella celebrazione dell’Eucaristia, si arriva alla perfezione donata nel Battesimo e riconfermata nell’Eucaristia e si arriva a mettere in pratica il Discorso della Montagna. Non è così. Solo Cristo stesso realizza veramente e completamente il Discorso della montagna. Noi abbiamo sempre bisogno di essere lavati da Cristo e da Lui rinnovati. Per questo abbiamo bisogno di quella conversione permanente, che si alimenta all’umiltà di saperci peccatori in cammino, finché il Signore ci dia la mano definitivamente e ci introduca nella vita eterna. In questo atteggiamento di umiltà, vissuto giorno dopo giorno, dobbiamo vivere.
 Per il fatto che ci siamo convertiti a Gesù, il quale è verità e amore, dobbiamo seguirlo per tutta la vita ed essere testimoni del suo amore. Dio è amore, e l’incontro con Lui è la sola risposta alle inquietudini del cuore umano. Un cuore che è abitato dalla speranza, che apre già oggi al futuro, tanto che san Paolo ha scritto che “nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24). L’importante dunque è far crescere in noi il bisogno di riporre in Dio solo l’unica nostra speranza.
 2) Conversione e vocazione.
 La conversione non è un cammino a ritroso, all’indietro. La conversione è sì un ritorno a casa, ma è una dimora di cielo. Il nostro cammino di conversione è verso l’alto. La conversione cristiana non è soltanto morale (un peccatore che ritrova la via del bene) o religiosa (un ateo che viene alla fede in Dio), ma conversione alla persona di Cristo, “sole che sorge dall’alto” e chiave di volta del destino umano. Convertendoci cioè voltandoci verso Cristo, accade l’incontro che cambia integralmente tutto il nostro modo di pensare e di vivere. E’ un incontro-conversione che fa rinascere dall’Alto (cfr. Gv 3,7) e ci fa capire la nostra vocazione che è di seguire Cristo non tanto per fare delle cose buone ma  per realizzare l’invito di Figlio di Dio: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 48).
 Tre sono i livelli di risposta a questa vocazione conversione alla perfezione infinita dell’amore di Dio:
“Amatevi l’un l’altro come ciascuno ama se stesso”;
“Amatevi come io vi ho amato”;
 “Amate come vi ama il Padre vostro celeste”.
 Dunque, se prendiamo sul serio l’invito alla conversione evangelica che oggi ci è ridetto, dobbiamo amare come Cristo ci chiede, programmando la nostra vita quotidiana e prendendo le decisioni concrete che questo “amore come” esige.
 Di questi tre “come” oggi sottolineo il terzo perché la vocazione è principalmente volgersi a Dio  per diventare come Lui: “Torna a te. E, una volta rientrato in te, volgiti ancora verso l’Alto: non restare in te. Prima torna a te dal mondo esterno, e poi restituisci te stesso a Colui che ti ha creato, e che ha cercato te, perduto; ha trovato te, fuggitivo; ha convertito te a se stesso, tu che gli avevi voltato le spalle. Torna a te, dunque, e muovi verso di lui che ti ha creato” (Sant’Agostino d’Ippona, Discorso 330, 3). Impresa certamente impossibile senza la grazia continua di Cristo Redentore e dello Spirito Santificatore: la Parola di Dio, i sacramenti, la preghiera, il magistero della Chiesa, le opere di carità, i consigli evangelici, ecc. Si tratta in ultima analisi di diventare letteralmente come Cristo: “Rallegriamoci e rendiamo grazie a Dio: non soltanto siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo stesso…Stupite, gioite: siamo diventati Cristo! Se Cristo è il Capo e noi le membra, l’uomo totale è Lui e noi (Id., Commento al Vangelo di Giovanni 21, 8).

 3) La vocazione delle vergini consacrate.
 L’invito alla conversione cioè la vocazione è dunque una chiamata alla santità, a diventare come Cristo. Capito ciò, la risposta a questo invito è dire come ha fatto la Madonna: “Eccomi, accada di me secondo la tua parola”. E’, come hanno fatto gli apostoli che subito lasciarono le reti, la barca e la loro famiglia e lo seguirono (cfr Mt 4, 20s).
 Il loro “sì” alla vocazione di Dio,  è stato preceduto da altri “Eccomi”. Quello fiorito sulle labbra di Abramo, di Mosè, di Samuele, Isaia, ecc. E’ come quando si faceva l’appello a scuola ed ognuno con prontezza rispondeva dicendo “presente!”.
 Cosa ha di misterioso questo “Eccomi” che apre il cuore di Dio, che è la risposta sufficiente a Dio? Per il resto ci pensa Lui ma vuole prima di sentire questo "Eccomi". Vuol dire "Signore sono qui, non fuggo dalla tua presenza, sono disponibile, ti ascolto, il mio cuore è pronto" come dice un Salmo: "Il mio cuore è pronto per te Signore".
 Ogni “Eccomi” è un miracolo della grazia di Dio, è la libertà che misteriosamente si apre alla grazia e oggi questo miracolo è più che mai evidente. Che oggi il Signore chiami con modi più che mai tenui, misteriosi, rispettosi, e che un giovane o una ragazza abbiano il coraggio di chiudere le orecchie a tutte le attrattive del mondo e rispondere “Eccomi” è un miracolo che il nostro cuore, la nostra bocca e la nostra vita permettono a Dio di fare.
  Questo di tutti i cristiani deve essere, e dunque anche il nostro, un “Eccomi” gioioso, entusiastico, stupito perché dentro ci deve essere il senso di essere scelti, di essere stati individuati da Dio, oggetto di una predilezione di Dio.
 Un modo attuale di dire questo “Eccomi” è quello delle vergini consacrate nel mondo. Come diceva sant’Ambrogio: «Le vergini consacrate sono nel mondo segno di vera bellezza». La bellezza della vita consacrata è anche il tema di fondo dell'Esortazione postsinodale Vita consecrata, sviluppato ampiamente partendo dall'icona della Trasfigurazione. San Giovanni Paolo II scriveva: “ ‘Come è bello restare con te, Signore, dedicarci a te, concentrare in modo esclusivo la nostra esistenza su di te!’. In effetti, chi ha ricevuto la grazia di questa speciale comunione di amore con Cristo, si sente come rapito dal suo fulgore: egli è ‘il più bello tra i figli dell'uomo’ (Sal 45/44, 3” (Ibid. n. 15).
 Quella dell’Ordo Virginum è una forma di vita che sta ormai diffondendosi costantemente  in tante nazioni.
 Su questo Ordo si esprime chiaramente il CIC (Can 604), così come lo manifestano i testi liturgici (il Rito della consacrazione) e quelli magisteriali anche recenti. Oggi faccio riferimento alla sopracitata Esortazione apostolica, che –secondo me- descrive bene l’Ordo Virginum nella sua specificità, collocandolo subito dopo la menzione della vita monastica, quale forma per così dire germinale delle successive esperienze di vita religiosa e consacrata: “E’ motivo di gioia e di speranza  vedere che torna oggi a fiorire l’antico Ordine delle vergini, testimoniato nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Consacrate dal vescovo diocesano, esse acquisiscono un particolare vincolo con la Chiesa, al cui servizio si dedicano pur restando nel mondo. Da sole o associate, esse costituiscono una speciale immagine escatologica della sposa celeste e della vita futura, quando finalmente la Chiesa vivrà in pienezza l’amore per Cristo Sposo” (n. 7).
 Quello dell’Ordo Virginum è un carisma antichissimo. Si tratta di una tradizione antica da risuscitare nelle condizioni presenti, con la stessa forza e genialità delle origini. Dunque, non siamo di fronte a una realtà vaga, generica, amorfa; ha invece una sua precisa identità, anche se non facile da descrivere nei particolari. Certo è un carisma da vivere con semplicità e umiltà, come una (non l’unica) via ecclesiale alla santità, come esistenza offerta a Dio con la dedizione silenziosa, gratuita e attenta.


Lettura patristica
San Giovanni Crisostomo
In Matth. 14, 1-2

  "Da allora Gesù prese a predicare e a dire: «Convertitevi, perché è vicino il regno dei cieli»" (Jn 1,9). Ma quando Gesù comincia a predicare? Da quando Giovanni fu chiuso in prigione. Ma perché non predicò prima? E che bisogno aveva di Giovanni Battista, dato che le sue opere gli rendevano già un’efficace testimonianza? Ecco: perché noi potessimo comprendere maggiormente la sua grandezza: Gesù Cristo ha i suoi profeti, così come il Padre ha avuto i suoi. Proprio questo rileva Zaccaria nel suo cantico: "E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo" (Lc 1,76). Era necessario il precursore, inoltre, perché agli insolenti Giudei non restasse alcuna scusa, come testimonia lo stesso Gesù Cristo con le parole: "È venuto Giovanni, che non mangiava né beveva, e hanno detto: Ha il demonio addosso. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve ed essi dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Alla sapienza, però, è resa giustizia dai figli suoi" (Mt 11,18-19). E ancora era necessario che tutto quanto riguardava il Cristo fosse manifestato in anticipo da un altro, prima di esserlo da lui stesso. Infatti, se dopo tante testimonianze e dopo tali prove, i Giudei dissero: "Tu rendi testimonianza a te stesso; la tua testimonianza non è valevole" (Jn 8,13), che cosa avrebbero osato dire se, prima che Giovanni avesse parlato, si fosse presentato in pubblico e avesse reso per primo testimonianza in favore di sé?

       Ecco ancora perché Gesù non comincia a predicare prima di Giovanni e non compie alcun miracolo, se non dopo che il suo precursore è stato rinchiuso in prigione: nel timore che nascesse qualche scisma tra il popolo. Per la stessa ragione Giovanni non compie miracoli, allo scopo di lasciar accorrere tutta la folla a Gesù, trascinata dai prodigi che il Signore faceva. Infatti, se anche dopo i miracoli operati da Gesù Cristo, i discepoli di Giovanni, sia prima che dopo il suo incarceramento, erano ancora presi da gelosia verso Gesù e molti pensavano che il Messia non fosse lui, bensì Giovanni, che cosa sarebbe accaduto se Dio non avesse preso queste sagge misure?

       Ecco le ragioni per cui anche Matteo vuol sottolineare che «da allora» Gesù incominciò a predicare. E, all’inizio della sua predicazione, Gesù insegna ciò che Giovanni ha detto. Nei suoi primi discorsi non parla ancora di se stesso, ma si contenta di predicare la penitenza. Per quel tempo era già abbastanza desiderabile far accettare la penitenza, dato che allora il popolo non aveva ancora di Cristo un’idea sufficientemente adeguata. E all’inizio, non annuncia niente di terribile o di spaventoso, come aveva fatto Giovanni parlando della scure tagliente già posta alle radici dell’albero, del ventilabro che ripulisce l’aia, e di un fuoco inestinguibile. Dapprima, parla soltanto dei beni futuri, rivelando a coloro che lo ascoltano il regno che ha loro preparato nei cieli.

       "Gesù camminava lungo il mare di Galilea, quando vide due fratelli: Simone, detto Pietro, e Andrea, suo fratello, che gettavano la loro rete in mare, essendo pescatori. E disse loro: «Seguitemi e vi farò pescatori di uomini». Ed essi, abbandonando subito le reti, lo seguirono" (Mt 4,18-20). Giovanni evangelista descrive in maniera diversa la chiamata di questi apostoli; è evidente, quindi, che quanto ci narra Matteo è la loro seconda chiamata, come chiunque può costatare anche da molte altre circostanze. Giovanni, infatti, dice esplicitamente che questi due discepoli si avvicinarono a Gesù prima che il precursore fosse incarcerato, mentre quanto Matteo narra qui avvenne dopo l’arresto del Battista. Inoltre, Giovanni precisa che fu Andrea a chiamare Pietro, mentre Matteo dice che Gesù li chiamò tutt’e due. E ancora Giovanni riferisce: "Gesù, vedendo Pietro venire verso di lui, gli disse: Tu sei Simone, figlio di Giona, sarai chiamato Cefa - che vuol dire pietra" (Jn 1,42). Matteo, dal canto suo, lascia intendere che Simone era già chiamato con questo secondo nome, quando dice che Gesù vide «Simone, detto Pietro». Si può, tuttavia, arrivare alla stessa conclusione, riferendosi al luogo ove i due fratelli furono chiamati da Gesù e a parecchie altre circostanze; lo si deduce anche dal fatto che essi gli obbedirono con immediatezza, lasciando tutto quanto possedevano: essi, infatti, erano ormai ben preparati e pronti. Giovanni evangelista ci presenta Andrea, che va a trovare Gesù nella sua casa e che da lui apprende molte cose, mentre qui Matteo riferisce che i due discepoli, udita una sola parola di Gesù, immediatamente lo seguirono. È quindi verosimile che questi apostoli avessero già seguito Gesù prima e che poi lo avessero lasciato; è verosimile inoltre che, quando essi seppero che Giovanni era stato messo in prigione e Gesù si era allontanato, siano tornati nuovamente alla loro antica professione di pescatori nel loro paese; perciò Cristo li ritrova mentre stanno pescando. Quando essi vollero lasciare Gesù la prima volta, egli non lo impedì loro e neppure li abbandonò definitivamente perché allora lo avevano lasciato. Infatti, dopo aver permesso loro di andarsene, torna a loro una seconda volta per riprenderli e guadagnarli alla sua causa: e questo è il modo migliore di pescare gli uomini.

       Osservate, ora, la fede e l’obbediente docilità dei discepoli. Gesù parla, mentre essi si trovano nel bel mezzo del loro lavoro (e voi sapete quale occupazione appassionante sia la pesca); ebbene essi, appena sentito il suo invito, non si ritraggono, né rinviano e neppure dicono: Lasciaci andare a casa un momento per parlare con i nostri parenti; ma, abbandonata ogni cosa, lo seguono, come fece un tempo Eliseo nei confronti di Elia. È una obbedienza pronta e perfetta come questa, che Gesù Cristo esige da noi, una obbedienza che esclude ogni ritardo, anche quando vi fossero fortissime ragioni ad ostacolarla. Per questo, quando s’avvicinò a Gesù un altro discepolo, chiedendogli di poter seppellire il padre, Gesù non lo lasciò andare, per dimostrarci che fra tutte le opere la prima e la più necessaria è seguirlo. E se voi osservate che la promessa che egli fa loro è grande, io vi risponderò che li ammiro ancor di più in quanto, senza aver veduto alcun miracolo di Gesù, prestano fede a tale promessa e pospongono tutto per seguirlo. Essi credettero che le parole, dalle quali erano stati pescati, avrebbero consentito anche a loro di pescare un giorno gli altri uomini. Questa, infatti, fu la promessa che Gesù fece.

       Ma a Giacomo e a Giovanni non promise niente di simile, perché l’obbedienza dei due primi apostoli aveva già aperto loro la via; e, d’altra parte, essi avevano già udito molte cose sul conto di Gesù e non avevano quindi bisogno di promesse. Considerate ora con quanta cura il Vangelo ci sottolinea le condizioni di povertà di questi discepoli. Gesù li trovò intenti a rattoppare le loro reti (Mt 4,21-22), che erano costretti a riparare non potendo procurarsene altre nuove. Ebbene, è una non mediocre dimostrazione di virtù quella di sopportare senza sforzo la miseria, di vivere del faticoso ma lecito lavoro, di essere uniti fra loro dalla forza dell’amore e di tenere perciò con sé il padre, che servono e mantengono.

       Non appena Gesù ebbe chiamato i discepoli, cominciò subito a compiere miracoli in loro presenza, per confermare in tal modo quanto Giovanni Battista aveva detto di lui.

Fonte:http://francescofolloit.blogspot.it/

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