Padre Paolo Berti,“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”

IV Domenica del tempo ordinario          
Mt.5,1-12 
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”
Omelia 
Quante volte, amici, la terra è stata piena dell’ira dell’uomo contro l’uomo. Quante volte il forte si è
scagliato con ira sul più debole, semplicemente perché gli aveva resistito. Quante volte le nazioni hanno scatenato un’ira distruttiva tra di loro.
Viviamo in un momento di pace, eppure la pace attuale sembra una specie di incubazione di un'ira pronta ad esplodere. 
L'ira delle nazione non ha paura dell'ira di Dio, ma l’ira del giorno del Signore supererà immensamente la potenza dell’ira distruttiva che possono mettere in campo le nazioni. 
In quel giorno, dice il profeta Sofonia (1,2): “Tutto farò sparire dalla terra”. La terra sarà consumata “al fuoco della sua gelosia” (1,18). Di fronte alle prostituzioni degli uomini con il male, Dio dirà il suo basta finale, e in quel giorno la terra diventerà un immane sepolcro. 
La potenza degli uomini non potrà niente contro quel giorno. 
Con la sua ouverture apocalittica Sofonia esortava Israele ad abbandonare le prostituzioni con i culti astrali degli Assiri, già invasori di Israele, poiché nell'orizzonte, ancor più terribile dell’azione conquistatrice dell'Assira, c'era la conquista babilonese e la deportazione in terra d'esilio. 
Per il grande stimolo all’umiltà il tema del dies irae è sempre stato caro ai predicatori delle generazioni passate. Oggi del dies irae se ne parla ben poco, ma non è un bene. Ogni tanto lo dovremmo ricordare, anche perché è ribadito nel Nuovo Testamento, ad esempio, nelle seconda lettera di san Pietro (3,10s). Oggi, giustamente, presentiamo il tempo futuro della civiltà dell’amore, per esortare a costruirlo, ma l’amore ha bisogno dell’umiltà, e la menzione del dies irae ha sempre portato frutti di umiltà. 
Se vogliamo portare frutto e frutto che rimanga (Gv 15,2) non dobbiamo mai dimenticarci che Dio sceglie sempre gli umili di cuore per produrre nella storia le sue opere di bene. 
Anche chi ha ricchezze può essere un umile, un “povero in spirito” (Mt 5,3), un povero laudante Dio, se non le usa per innalzarsi sugli altri, ma per servire gli altri creando, ad esempio, posti di lavoro, opere caritative, ecc. 
Israele, purificato dalle prove della deportazione a Babilonia, si ridusse ad un resto (2Re 19,30; Is 1,9; Ez 14,22; Am 5,15; ecc.) umile e povero, ed è da quel resto che Dio ripartì per ridare forza al suo popolo. Ciò è di esempio per ciascuno di noi, nel senso che si diventa veramente “poveri in spirito” solo passando attraverso pentimento e penitenza, e superando molte prove rimanendo umili nelle umiliazioni.
E’ una tipologia quella del ritorno dalla schiavitù di Babilonia che è sulla stessa linea di quella dell’Esodo dalla schiavitù egiziana, poiché Israele meritò allora la schiavitù in Egitto, proprio a causa dei suoi sbandamenti verso gli idoli (Ez 16,26; 23,21). 
Ogni cammino di ritorno a Dio è sempre cammino di purificazione, di elevazione, e non può prescindere da tratti di percorso aspri e difficili (Sir 4,17s). San Paolo, ad esempio, si è trovato spesso a percorre strade piene di dolore e di ansie. Così ci dice, circa una delle tante situazioni che visse (2Cor 1,9): “Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte, perché non ponessimo fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti”. 
Dunque, amici, dobbiamo sempre confidare nel Signore senza mai perderci d'animo (Sir 2,1s). 
Nel cammino in mezzo alle difficoltà del mondo è necessaria la confidenza in Dio, che è poi la speranza, unita alla fede e alla carità; la fiducia in Dio, infatti, tale confidenza racchiude in sé le tre virtù teologali. Da parte nostra cerchiamo di essere umili e poveri, visto che se siamo gonfi e ricchi siamo tagliati fuori dal disegno di Dio. Infatti, ci dice Paolo, che Dio ha scelto ciò "quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio". Il mondo ha pensieri opposti a quelli di Dio e ciò che è vero lo dichiara falso, mentre ciò che è grande e nobile lo dichiara spregevole. Ma “le cose che sono” sono annientate da ciò che Dio ha scelto. Le “cose che sono” davanti agli occhi del mondo, sono annientate da “Colui che è”. 
Io mi sono chiesto come si possa stare in politica umili, visto che piuttosto si studia di essere appariscenti per attirare a sé l’elettorato. 
Può uno che non è davanti al mondo entrare in politica, reggendo di fronte a “coloro che sono” davanti al mondo? Paolo ci dice di sì, anzi, dice che Dio è capace di ridurre al nulla le cose che sono per mezzo di quelle che non sono. 
Ma un cristiano può disinteressarsi della politica? Essere un apolitico. No il cristiano deve interessarsi della politica, ma deve abitare nel territorio antecedente la politica, che è quello della morale, della carità, per poi fare ingresso nella realtà politica con un animo costantemente cristiano, il che equivale a dire che la prima politica del cristiano è quella di ricercare di rinnovare in Cristo il cuore dell'uomo e le istituzione dell'uomo. 
Che cosa magnifica: “I miti ereditano la terra”? Significa che i miti sono i veri vincitori, non i prepotenti, i millantatori. I malvagi per un attimo danno il loro nome alla terra (Ps 48/49,12), ma la loro opera a nulla vale. Invece i poveri in spirito hanno il regno dei cieli. Ereditano quali figli di Dio la terra oggi e il regno dei cieli, domani eterno. 
Ereditano la terra non perché siano dei conquistatori, dei belligeranti, dei potenti; sono infatti dei non violenti, dei miti. Ereditano la terra perché sanno attrarre a Dio le moltitudini. I potenti del mondo attirano, coinvolgono, creano masse oceaniche che li seguono, ma sono perdenti, vincono i miti perché vince l'amore. La storia lo dice. Di fronte alle azioni crudeli dell’impero romano contro i cristiani chi ha vinto alla fine? L’ira e la tracotanza dei potenti Cesari o la debolezza e mitezza dei cristiani? Ha vinto la debolezza e mitezza dei cristiani; ha vinto la forza dell'amore. Di fronte all’ira di oggi, più o meno nascosta da un paravento di educazione, contro tanti e tanti cristiani veri, cosa vincerà: l’ira o la mitezza? Vincerà la mitezza, quella che il cristiano trae dall’Agnello. 
Avete notato, amici, che nell’Apocalisse viene presentato Cristo quale Agnello? Questo perché di fronte al furore dei nemici egli ha vinto con la mitezza, e vince ancora nella storia con la mitezza dei cristiani, che sanno giungere fino al sacrificio. 
Alla fine, Dio dirà il suo basta, e sarà il dies irae. Sarà il dies irae quando la mitezza sarà assediata ovunque, capillarmente; quando l’uomo avrà varcato in massa i confini che immettono nella cattiveria diabolica, allora verrà il basta che il profeta Sofonia (1,18) presenta come il basta di un innamorato geloso di fronte alla sua sposa adultera, alla quale non può più perdonare perché scientemente e totalmente prostituita. 
Non lasciamoci prendere dallo sgomento di fronte alla potenza degli uomini, di fronte alla martellante negazione della verità, poiché possederemo la terra (Ps 36/37,3); la terra conoscerà il tempo della civiltà dell’amore. All’ira del mondo contro di noi, noi contrapponiamo il nostro essere in Cristo, l’Agnello vincente, che con la mitezza (Mt 11,29), nutrita di obbedienza al Padre, ha vinto. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù. 

Fonte:http://www.perfettaletizia.it/

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