Chiesa del Gesù - Roma, “Avete inteso che fu detto agli antichi: non ucciderai, ma io vi dico…”


VI Domenica del Tempo Ordinario [A]
Sir 15,16-21; Sal 118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37
Continua anche in questa domenica la lettura del “discorso della montagna”.


Nel vangelo di oggi, Gesù riflette sul senso nuovo della giustizia.

Il Signore sta portando una nuova Legge, non più scritta su tavole di pietra ma nel cuore degli uomini, e ci avverte: “non crediate che io sia venuto ad abolire la legge e i profeti”.

Il vangelo di Gesù è una promessa, è una grazia che non abolisce la Legge, ma porta l’uomo a compimento. Nel senso che rende la persona umana capace di fare quello che la Legge richiede.

La legge nuova del vangelo non toglie le regole; cambia il cuore dell’uomo, rendendolo capace di vivere la giustizia di Dio.

“Se la vostra giustizia – dice Gesù ai discepoli e a noi oggi – non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli”.

Ci possiamo domandare: come si fa a superare la giustizia dei farisei che sono praticanti e osservanti in tutto, scrupolosi al massimo?

Più di così davvero non si può fare! È vero: umanamente, no!

Gesù sta dicendo che l’osservanza minuziosa di tutti i precetti non è sufficiente!

La giustizia cristiana supera questo, perché è un dono di Dio: è un cambiamento del cuore e non dipende dalla mia forza, dalla mia osservanza.

La perfezione che dobbiamo ricercare non è quella della legge, ma quella dell’amore.

L’elenco che Gesù fa di alcuni precetti, serve proprio per capovolgere la nostra mentalità.

“Avete inteso che fu detto agli antichi: non ucciderai, ma io vi dico…”

Gesù non capovolge il comando ma lo amplia, a tal punto che va al di là delle possibilità umane.

“Io vi dico di non adirarvi, di non insultare, di non disprezzare, di riconciliarvi con il fratello”.

Se una lettura minimale della legge invita a non uccidere fisicamente l’altro; una lettura più perfetta indica la necessità di non uccidere neppure interiormente il fratello, attraverso l’ira, il disprezzo e la demonizzazione.

Tante volte ci capita di dire: non ho peccato, perché non ho ucciso nessuno. Ma è proprio così?

Già l’ira è un omicidio del cuore, perché uccide l’altro come fratello, per trasformarlo in nemico.

Anche il disprezzo è l’uccisione interiore dell’altro, perché lo spoglia della sua dignità, lo denigra fino ad annullarlo.

Così la demonizzazione uccide l’altro nella sua potenzialità di bene, fa del fratello un male, il mio male da eliminare.

Chi coltiva nel cuore questi tre sentimenti mortiferi non si apre alla grazia di Dio.

Gesù non esorta a essere osservanti meticolosi della regola, ma persone che accolgono una grazia, che permette di fare molto di più.

La legge è per gli ingiusti, la grazia rende giusti al di là della Legge, aiutando la persona a vivere e fare la giustizia di Dio molto meglio degli osservanti.

È la luce che viene dall’alto che cambia il cuore; a noi l’impegno di accogliere questa proposta di Gesù, questo dono gratuito.

Il libro del Siracide presenta una serie di consigli morali.

L’antico sapiente dice: “Il Signore ha posto davanti a te fuoco e acqua. Stendi la mano dove vuoi”: mettila nel fuoco, mettila nell’acqua.

Se la metti nel fuoco di bruci, mentre se la metti nell’acqua essa ti purifica, ti lava. Dipende da te metterla nel fuoco o metterla nell’acqua.

“Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà”.

Pertanto, scegli il bene, scegli la vita! Questa è sapienza!

La vera libertà non sta nella possibilità di dire di “no” a Dio; quanto piuttosto nella capacità di dire di “sì”, di aderire con il cuore alla giustizia del Signore.

Il Siracide avverte: hai davanti a te anche la possibilità del male e della morte; ma tu se vuoi essere veramente libero scegli il bene e la vita!

Sebbene ogni giorno l’uomo sia posto di fronte alla scelta drammatica tra la fedeltà e l’empietà, non è solo! La grazia di Dio lo accompagna, lo aiuta a scegliere bene, a scegliere il suo bene possibile.

Il salmo ci propone la beatitudine di chi cammina nella Legge del Signore. Saggio e felice è l’uomo che osserva la Legge.

Viene proposto l’inizio del lunghissimo salmo 118, un poema che celebra la legge di Dio, cioè la rivelazione del Signore e della sua Parola di salvezza.

Beato chi è integro nella sua vita, chi cammina nella via del Signore.

La rivelazione del Vangelo ci dice però che non dipende dal nostro sforzo, ma dalla grazia di Dio.

Beato chi accoglie la giustizia superiore, regalata da Gesù Cristo.

Scrivendo ai cristiani di Corinto, l’apostolo Paolo parla di sapienza.

Nella seconda lettura, quello che abbiamo visto come giustizia, può essere ripreso proprio come sapienza.

Una sapienza rivelata, che non è di questo mondo, che non è conquistata dai forti del mondo: è la sapienza di Dio, rimasta nascosta ma ora regalata a coloro che amano.

Solo l’amore può farci aprire gli occhi sul mistero della morte e risurrezione di Cristo.

Gesù è colui che è andato oltre la giustizia della legge, perché ha abbracciato la perfezione dell’amore.

Lo Spirito di Dio, che anima della Legge, ora è riversato nei nostri cuori per renderci capaci di una giustizia superiore: quella del perdono, cioè del dono per l’altro.

Allora siamo beati, non perché osservanti e praticanti, non perché resi perfetti dalla cura nell’adempiere scrupolosamente la legge; ma perché abbiamo accolto la sapienza di Dio che ci rende maturi, cioè simili al Figlio Gesù.

Fonte:http://www.chiesadelgesu.org

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