dom Luigi Gioia, "Oltre le nostre porte chiuse"

Oltre le nostre porte chiuse
dom Luigi Gioia  
II Domenica di Pasqua (Anno A) (23/04/2017)
Vangelo: At 2,42-47; Sal 118; 1 Pt 1,3-9; Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Se facciamo fatica a capire cosa significhi davvero la resurrezione siamo in buona compagnia. Gli stessi discepoli non capivano e ogni volta che Gesù ne parlava si interrogavano tra di loro su cosa volesse dire. Ma anche dopo la resurrezione, pur vedendo Cristo, hanno continuato ad essere come frastornati. In effetti, la resurrezione di Gesù non è semplicemente il ritorno alla vita, non ha nulla a che fare con quella di Lazzaro, ma è una novità assoluta, paragonabile alla creazione dal nulla. Questa novità Gesù la rivela attraverso i segni che compie e che puntano tutti verso un centro, verso una verità importante che facciamo molta fatica ad accettare e soprattutto a credere. Su questa verità siamo invitati a meditare.
Vale per noi la stessa cosa che successe per i discepoli, dei quali si dice: Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, per paura dei Giudei, e ancora Gesù venne e le porte erano chiuse. Come i discepoli anche noi siamo al chiuso per paura. La nostra fede in Gesù, la nostra speranza in lui restano timide, paurose. Siamo ripiegati su noi stessi, perché la nostra speranza osa solo fino ad un certo punto. Quando le situazioni, da un punto di vista umano, ci sembrano disperate, facilmente crediamo che il Signore sia impotente o che ci abbia abbandonato. Anche quando vogliamo credere, incontriamo in noi delle resistenze che non ci aspettavamo. Le nostre porte chiuse sono allora spesso quelle dello scoraggiamento, dell'usura, della rassegnazione se non di un certo cinismo, di un cuore che lentamente si irrigidisce e diventa incapace di gioire, di amare, di credere alla novità.
La resurrezione non consiste nel passare attraverso delle porte di legno o delle mura - questa sarebbe magia. La resurrezione invece è la capacità nuova che ha adesso Gesù di raggiungerci fin nelle nostre chiusure, nella nostra solitudine, nelle nostre paure, nelle nostre angosce, nella nostra disperazione, nelle nostre depressioni, nel nostro cinismo. Gesù ci raggiunge in queste chiusure non dicendoci prima di tutto delle parole, ma affidandosi interamente all'eloquenza di un gesto: ci mostra le sue mani, il suo fianco, i segni delle sue ferite, dei chiodi, della lancia. Questo gesto è la maniera più efficace che Dio ha trovato per consolarci e per dirci: "Quello che soffri lo conosco perché l'ho condiviso. Questa sofferenza che ti ha schiacciato, grazie a me è diventata sorgente di vita, di luce, di pace, di gioia. Riapre le porte, abolisce i muri, ristabilisce la relazione con il Padre e con i fratelli".
Questa è la resurrezione. Non è vedere un fantasma, non è toccare delle piaghe, non è un miracolo che ci convincerebbe perché strepitoso. Al contrario è una realtà della quale sia Giovanni, nel vangelo, che Pietro, nella seconda lettura, dicono che non la si vede. Gesù disse a Tommaso: Perché hai veduto hai creduto. Beati quelli che non hanno visto ed hanno creduto. Questi beati siamo noi: non abbiamo visto, eppure crediamo. E Pietro nella seconda lettura dice: Voi lo amate pur senza averlo visto, e senza vederlo credete in lui.
Questa è la chiave per capire cosa sia la resurrezione. La resurrezione non è una realtà che si vede, ma una presenza che si scopre. Non è al di fuori di noi, ma è in noi. Ed è in noi, naturalmente, perché è avvenuta fuori da noi. Non si tratta di ridurre la resurrezione ad un sentimento. Se scopriamo Gesù in noi, è perché c'è veramente, è perché, essendo risorto dai morti, può raggiungerci fin nel luogo dal quale il Padre era stato cacciato, vale a dire nel nostro cuore.
Ciò che fino ad oggi è stato un macigno insormontabile, ciò che ci opprimeva, che ci faceva paura, che bloccava il nostro orizzonte: ecco cosa sono le "porte chiuse". Queste porte, pur restando chiuse, non ci imprigionano più in noi stessi, perché con la sua morte, anzi con il suo amore più forte della morte, con la sua resurrezione, Cristo ha conquistato la capacità di raggiungerci ovunque, di essere con noi ovunque, di consolarci ovunque, di restituirci la speranza ovunque, di essere ‘con me' ovunque. Risorto, ci dice Gesù: io sono con te. Io sono con te per sempre.
Allora capiamo Pietro che, nella seconda lettura, irrompe in questa esclamazione: Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove. Sì, siamo ancora afflitti da varie prove, anche dopo la resurrezione di Gesù. La resurrezione non è l'eliminazione delle sofferenze o delle prove. Ma, pur ancora afflitti, già siamo nella gioia. Non quella superficiale, triviale, frivola, ma la gioia profonda, che dimora, che proviene dal sapersi capiti, accettati, amati da Gesù. È la gioia che proviamo quando ritroviamo le ragioni per sperare.
In ultima analisi, la resurrezione di Cristo può essere espressa pienamente solo come lo fa Pietro: Il Padre, nella sua grande misericordia, ci ha rigenerati mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva. Per una speranza viva! Questo è la resurrezione: è il trionfo della speranza. Scoprire Cristo risorto in me, scoprirlo nel più profondo della mia solitudine, della mia povertà, della mia sofferenza, della mia miseria, delle mie angosce, delle mie paure, delle mie disperazioni, delle mie depressioni - scoprire Gesù presente lì: questo restituisce la speranza, la speranza viva. E chi spera in Dio non resterà deluso.

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