FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio "Pregherò il Padre e vi darà un altro Paràclito"

VI Domenica di Pasqua
Antifona d'ingresso
Con voce di giubilo date il grande annunzio,

fatelo giungere ai confini del mondo:
il Signore ha liberato il suo popolo. Alleluia. (cf. Is 48,20)

Colletta
Dio onnipotente,
fa’ che viviamo con rinnovato impegno
questi giorni di letizia in onore del Cristo risorto,
per testimoniare nelle opere
il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede.

Oppure:
O Dio, che ci hai redenti nel Cristo tuo Figlio
messo a morte per i nostri peccati
e risuscitato alla vita immortale,
confermaci con il tuo Spirito di verità,
perché nella gioia che viene da te,
siamo pronti a rispondere
a chiunque ci domandi ragione
della speranza che è in noi.

PRIMA LETTURA (At 8,5-8.14-17)
Imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

SALMO RESPONSORIALE (Sal 65)
Rit: Acclamate Dio, voi tutti della terra.
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere! Rit:

A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini. Rit:

Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno. Rit:

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia. Rit:

SECONDA LETTURA (1Pt 3,15-18)
Messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito.
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo

Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.
Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.

Canto al Vangelo (Gv 14,23)
Alleluia, alleluia.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia.

VANGELO (Gv 14,15-21)
Pregherò il Padre e vi darà un altro Paràclito.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Preghiera sulle offerte
Accogli Signore, l’offerta del nostro sacrificio,
perché, rinnovati nello spirito,
possiamo rispondere sempre meglio
all’opera della tua redenzione.

PREFAZIO PASQUALE I, II, III, IV, V

Antifona di comunione
“Se mi amate, osservate i miei comandamenti”,
dice il Signore.
“Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore,
che rimanga con voi in eterno”. Alleluia. (Gv 14,15-16)

Preghiera dopo la comunione
Dio grande e misericordioso,
che nel Signore risorto
riporti l’umanità alla speranza eterna,
accresci in noi l’efficacia del mistero pasquale
con la forza di questo sacramento di salvezza.

Lectio
A pochi giorni dalla Solennità dell'Ascensione di Gesù al cielo, il Vangelo di oggi ci dà una certezza: Gesù non ci ha lasciati soli, in balia di noi stessi e di forze avverse; ha mandato il Paraclito, lo Spirito della verità, che ci sostiene nel cammino della vita. Oggi viviamo il tempo dello Spirito, tempo in cui bisogna fare nuove tutte le cose, tempo in cui bisogna far agire la Sua forza per dare ragione della speranza che è in noi. Oggi, più che mai, tutti noi siamo chiamati a rendere presente nel mondo, grazie alla forza dello Spirito Santo, il Risorto. Questo è possibile solo se in noi emergono gli atteggiamenti che caratterizzano i discepoli del Signore. Innanzitutto, dobbiamo avere la capacità di unire la nostra volontà alla grazia, che ci viene dai sacramenti, per evitare che sia solo frutto di un'idea. Non dimentichiamo, poi, che chi incontra il Risorto e lo accoglie con sincerità, sperimenta il dono di un'esistenza completamente rinnovata, trasfigurata dalla Sua presenza, liberata dalle schiavitù fisiche e psichiche, percorsa da una nuova capacità di amare. È da qui che nasce uno stile di vita veramente cristiano, che ha come fondamento il dono della libertà. La libertà cristiana è un dono dello Spirito, che va implorato giorno per giorno per sfuggire ai tanti condizionamenti. Il dono della libertà è strettamente legato e dipende dalla verità, cioè dal senso profondo e sincero della realtà che solo nella rivelazione ci è dato di scoprire. Gesù ci ha insegnato che: "la verità ci farà liberi" (Gv 8,32).
Siamo soliti immaginare lo Spirito come un qualcosa di invisibile, di intangibile, tutto l'opposto di ciò che è materiale, ma questo modo di intenderlo non è biblico. Lo Spirito è molto reale, è un soffio, un alito forte. Dio è Spirito in quanto in lui esiste una forza travolgente e incontenibile, simile al vento impetuoso. Il sogno dell'uomo è di poter essere reso partecipe di questo Spirito.
Gesù non ha insegnato solo «la via», ha comunicato il suo Spirito, la sua forza per raggiungere la meta.
I discepoli nell'imminenza della partenza del loro maestro ricevono un'ulteriore spinta e incoraggiamento dalla promessa del Paraclito, la costante presenza di Gesù perfino in sua assenza, e delle conseguenze derivanti dall'amare Gesù e dall'osservare i suoi comandamenti. Il discorso si svolge in tre suddivisioni:

Paraclito e il mondo (vv. 15-17).
Gesù chiederà al Padre di dare loro «un altro Consolatore [Paraclito]» che stia con i discepoli e li tenga separati dal mondo che non può ricevere lo Spirito. I vv. 15-24 sono tenuti assieme dal tema dell'amore. Il discepolo che ama Gesù dimostra questa unione d'amore con l'osservanza dei suoi comandamenti (v. 15). Mentre va incontro alla morte Gesù esorta i suoi discepoli ad amare come lui ha amato abbracciando i suoi comandamenti (v. 15b). Gesù chiederà al Padre di premiare quella situazione di amore e di fedeltà con «un altro Consolatore» che resterà con loro per sempre. La promessa di Gesù di ascoltare le preghiere dei discepoli e di fare per loro qualsiasi cosa chiedano indica che egli svolge già la funzione del Consolatore (cf 1Gv 2,1), ma ci sarà «un altro Consolatore». Nonostante tutte le somiglianze che possono esistere tra il ruolo di Gesù il Consolatore e quello dell'«altro Consolatore», il secondo non diventa carne e non sarà innalzato per morire sulla croce in un totale atto di amore per i suoi discepoli (cf 12,32-33; 13,1). L'«altro Consolatore» rimarrà con i discepoli per sempre. Il Paraclito è anche definito «lo Spirito della verità», «lo Spirito che comunica la verità», la continua presenza della rivelazione di Dio nel mondo. Esiste tuttavia un mondo che è incapace di riconoscere il Paraclito mandato dal Padre ai discepoli per effetto della richiesta di Gesù. Il Paraclito appartiene al regno di Gesù, ma c'è un altro mondo che ha risposto a Gesù rifiutando la sua persona e la sua rivelazione del Padre.
I discepoli invece fanno parte del mondo di Gesù. Essi sono «i suoi» e lo Spirito della verità rimane già presso di loro e ci sarà un altro Paraclito che sarà in loro. Gesù è il dono della verità, la via che è la verità (cf 14,6), che rimane con loro, ma la sua partenza per tornare al Padre non segnerà la fine di quella presenza rivelatrice. Continuerà a rimanere con loro. Il Paraclito è la presenza continuativa della verità, «lo Spirito che comunica la verità». Il Paraclito entra nella storia con la funzione di una presenza continuativa della rivelazione di Dio per coloro che amano Gesù e osservano i suoi comandamenti (cf v. 15). La glorificazione e il dono dello Spirito sono già in vista, strettamente associati alla morte di Gesù. La partenza di Gesù pertanto non sarà una partenza come le altre.

La rivelazione dell'identità di Gesù con il Padre (vv. 18-21).
Gesù promette di venire di nuovo per rimanere in una presenza senza fine con i discepoli che lo amano e osservano i suoi comandamenti. Tali discepoli conosceranno e condivideranno l'identità con il Padre e con il Figlio e sperimenteranno le conseguenze vivificanti dell'essere amati dal Padre e da Gesù. Gesù sta per partire, ma i suoi figlioli (cf 1,12; 11,52; 13,33) non resteranno orfani (v. 18a). Questo è ciò che accade alla morte di un genitore, e la partenza di Gesù è associata alla morte; eppure porta alla sua venuta (v. 18b). La partenza e il ritorno si fondono insieme! La partenza fisica di Gesù non segnerà la fine della sua presenza rivelatrice. Questo tema domina i vv. 18-21. La partenza pone fine alla «veduta» fisica della rivelazione della verità al mondo nella persona di Gesù. Già Gesù aveva avvertito «i Giudei»: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre» (12,35). Gesù morirà e partirà, ma il Paraclito è un dono che deriva direttamente da questo evento. Anche se li lascia (v. 18a), Gesù tornerà ugualmente dai suoi discepoli ed essi lo vedranno. La morte e la partenza di Gesù porteranno alla sua vita con il Padre e alla vita per i suoi discepoli. Poiché egli vive ancora, una conseguenza della sua partenza dal mondo è la sua presenza vivificante per i discepoli (v. 19b: «perché io vivo e [anche] voi vivrete»). La partenza di Gesù e il dono di un altro Consolatore, lo Spirito della verità, richiedono che si faccia una distinzione tra Gesù e lo Spirito-Paraclito, ma ciò che lo Spirito fa per i discepoli è il prolungamento e il perfezionamento di ciò che fa Gesù per loro. Niente di tutto ciò è possibile senza il ritorno di Gesù al Padre per vivere affinché anche i discepoli possano vivere.
L'assenza fisica di Gesù è superata dalla perenne presenza dello Spirito-Paraclito. Non può esistere la nozione del ritorno di Gesù, una volta partito dopo la risurrezione, che possa essere visto dai discepoli. E nell'«esperienza del Gesù esaltato in mezzo alla comunità adorante» che Gesù assente sarà sentito presente da coloro che credono, lo amano e osservano i suoi comandamenti. La partenza di Gesù non li lascia orfani (v. 18) poiché egli ritorna da loro con il dono di una presenza vivente (v. 19). L'affermazione che Gesù lascia i suoi discepoli deve essere presa seriamente. Questa rispecchia l'esperienza dei primi lettori giovannei (e dei lettori successivi), per i quali il Gesù corporeo non è più presente. Ma l'esperienza del Gesù vivente continua a farsi sentire in e per mezzo della permanente presenza dello Spirito-Paraclito. Nella comunità adorante, e specialmente nel Battesimo e nell'Eucaristia (cf 3,3-5; 6,51-58), coloro che credono, amano e osservano i comandamenti di Gesù sperimentano la presenza di colui che è assente. La «venuta» del Gesù esaltato - e pertanto assente - nel culto che gli rende la comunità è un'esperienza prolettica di una «venuta» finale resa possibile, nell'intermezzo di tempo, dalla presenza del Paraclito.
Gesù promette ai discepoli una conoscenza che verrà data al credente nel giorno della sua partenza («In quel giorno»), al momento della sua venuta e del dono di una nuova vita (v. 20). Questa conoscenza, frutto della presenza del Paraclito, è la rivelazione dell'unione che esiste tra il Padre e il Figlio e dell'identità che esiste tra Gesù e il credente. L'unione tra il Padre e il Figlio è stata al centro di gran parte dell'insegnamento di Gesù ed ha costituito il fondamento della sua autorità (cf 5,19-30; 10,30.38), ma il coinvolgimento del credente nell'unione con Gesù è un elemento nuovo.
I discepoli di Gesù non saranno lasciati soli dalla partenza di Gesù (v. 18), riceveranno la vita (v. 19), che è la conoscenza del rapporto esistente tra il Padre e il Figlio e tra loro stessi e Gesù (v. 20). La partenza di Gesù viene a creare per i discepoli una situazione finora sconosciuta e mai spiegata. Nel v. 21 Gesù si rivolge alla cerchia più ampia dei lettori del Vangelo: «Chi accoglie i miei comandamenti». A tutti i possibili destinatari del v. 20 è detto che l'unione con Dio deve essere concepita in termini di amore. La risposta alla rivelazione di Dio in Gesù mediante l'osservanza dei suoi comandamenti è allo stesso tempo un impegno d'amore verso Gesù (v. 21a). Questo amore sarà contraccambiato dall'amore del Padre per loro, dall'amore di Gesù e dalla permanente rivelazione di Gesù di cui godranno (v. 21b) anche dopo la sua partenza (v. 21c).
Il mondo non disposto a ricevere la rivelazione di Dio in e per mezzo di Gesù non può capire il significato della sua partenza attraverso la morte. Per i discepoli invece, in conseguenza del dono dello Spirito-Paraclito (vv. 15-16), questa partenza porta a una esperienza di vita unica. Questa vita deriva direttamente dalla partecipazione nell'unità che esiste tra il Padre e il Figlio (vv. 18-20), dall'intimità dell'essere amati dal Padre e da Gesù e dalla continua rivelazione di Dio in e per mezzo di Gesù (v. 21) mentre i discepoli sperimentano la presenza di Gesù assente nel loro culto.

Meditatio
Anche il vangelo di oggi, come quello della scorsa domenica, è tratto dal primo dei tre discorsi di addio pronunciati da Gesù durante l'ultima cena.
I discepoli hanno capito che Gesù sta per lasciarli, sono tristi e si chiedono come potranno continuare a essergli uniti e ad amarlo se egli se ne va.
Gesù promette di non lasciarli soli, senza protezione e senza guida; dice che pregherà il Padre ed egli «invierà un altro Paraclito» che rimarrà per sempre con loro (v. 16). È la promessa del dono di quello Spirito che Gesù possiede in pienezza e che sarà effuso sui discepoli.
Gesù chiarisce (vv. 15.17) che lo Spirito può essere accolto solo da coloro che sono in sintonia con lui, con i suoi progetti, con le sue opere di amore. Il mondo non può riceverlo.
Chi è questo mondo al quale non è destinato lo Spirito? I pagani, i lontani, chi non appartiene al gruppo dei discepoli, i membri di altre religioni?
Per mondo Gesù non intende le persone, ma quella parte del cuore dell'uomo - di ogni uomo - in cui regna la tenebra, il peccato, la morte. Là dove si celano odi, concupiscenze, passioni sregolate ... lì è presente il mondo, con il suo spirito, opposto a quello di Cristo. Lo ricorda Paolo ai Corinzi che si lasciavano guidare dalla sapienza degli uomini: «Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio» (1Cor 2,12).
Lo Spirito riceve due nomi. È chiamato Consolatore (Paraclito) e Spirito della verità. Sono le due funzioni che egli esercita nei credenti.
Consolatore non è una buona traduzione del greco paràkletos. Paraclito è un termine preso dal linguaggio forense e indica colui che è chiamato accanto, il protettore, soccorritore, difensore.
Gesù promette ai discepoli un altro Paraclito, perché ne hanno già uno, egli stesso, come spiega Giovanni nella sua prima lettera: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paraclito presso il Padre: Gesù Cristo giusto» (1Gv 2,1).
Gesù è Paraclito in quanto nostro avvocato presso il Padre, non perché ci difende dalla sua ira, provocata dalle nostre colpe (il Padre sta sempre dalla nostra parte, come Gesù), ma perché ci protegge contro il nostro accusatore, il nostro avversario, il peccato. Il nemico è il peccato e Gesù sa come confutarlo, come ridurlo all'impotenza.
Il secondo Paraclito non ha il compito di sostituire il primo, ma di svolgere una nuova missione, infatti è inviato assieme a Gesù che «ritorna» in mezzo ai suoi (v. 18). Gesù non è andato via, ha semplicemente cambiato tipo di presenza, non più quella fisica, ma quella da Risorto. Un modo nuovo il suo di stare a fianco dei discepoli, infinitamente più reale - pur nella sua invisibilità - più duraturo, illimitato rispetto a prima.
Lo Spirito è Paraclito perché viene in soccorso dei discepoli nella loro lotta contro il mondo, cioè contro le forze del male (Gv 16,7-11).
Giovanni richiama ai cristiani delle sue comunità questa verità affinché, in mezzo alle difficoltà della vita, non si scoraggino, non disperino, non perdano la serenità, la pace del cuore, la gioia. Il discepolo crede nell'assistenza dello Spirito e non teme, non si abbatte nemmeno quando deve ammettere che in lui esistono ancora tante miserie spirituali, tante debolezze, tante cattive inclinazioni. È convinto della forza del Paraclito ed è sicuro di non uscire sconfitto.
Il secondo titolo - che enuncia un'altra funzione del Paraclito - è Spirito della verità.
La sua opera a servizio della verità si esplica in vari modi. Cominciamo dal più semplice. Tutti sappiamo cosa accade quando una notizia passa di bocca in bocca: è soggetta a deformazioni, si altera a tal punto da divenire irriconoscibile. Il messaggio di Gesù è destinato a tutti gli uomini, deve essere predicato fino alla fine del mondo.
Il suo servizio alla verità non si limita a questa parte che potremmo chiamare negativa. Egli non impedisce soltanto che si introducano errori nella trasmissione del messaggio di Cristo. Egli svolge un'altra funzione, positiva: introduce i discepoli nella pienezza della verità.
Anche a questo livello Gesù promette l'intervento dello Spirito: egli è incaricato di introdurre il discepolo alla scoperta di tutta la verità. Non dirà nulla di nuovo o di contrario rispetto a lui, aiuterà a cogliere fino in fondo, fin nelle ultime conseguenze, il suo messaggio.
Da qui nasce il dovere dei cristiani di rimanere aperti agli impulsi dello Spirito che rivela sempre cose nuove. Egli è, per sua natura, colui che rinnova la faccia della terra (Sal 104,30).
È un peccato contro lo Spirito (e molto grave! cf. Mt 12,31) opporsi al rinnovamento, rifiutare le innovazioni che favoriscono la vita delle comunità, che avvicinano a Cristo e ai fratelli, che accrescono la gioia e la pace, che aiutano a pregare meglio, che liberano i cuori da inutili paure.
Chi rimane caparbiamente affezionato a tradizioni religiose ormai desuete e logore, chi non si impegna diligentemente nello studio della parola di Dio, chi non accetta l'aggiornamento di riti, formule, gesti liturgici, chi dà risposte vecchie a problemi nuovi, chi non accoglie con gioia le scoperte dell'esegesi biblica, tutti costoro si collocano in opposizione allo Spirito della verità.

La libertà, dipendente dalla verità, costruisce in noi degli atteggiamenti concreti: condivisione, servizio, accoglienza e mitezza. In tutto questo c'è non un insieme di idee e neppure un semplice messaggio scritto o da recitare a memoria, ma la persona stessa di Gesù, le sue azioni e le sue scelte. Il legame d'amore che ci unisce a Lui costituisce l'anima segreta di tutto. Un amore prima di tutto ricevuto con tanta tenerezza, un amore che, sperimentato, ci fa riconoscere il Padre e a Lui affidargli la nostra vita. Un amore che continua attraverso l'opera dello Spirito Santo che, accolto, agisce sui nostri sentimenti e sui nostri desideri.

Appendice
Il dono di un altro Paraclito.
Chi ama è segno che ha lo Spirito Santo, e quanto più amerà tanto più lo avrà, affinché possa amare sempre di più.

1. Abbiamo ascoltato, o fratelli, mentre veniva letto il Vangelo, il Signore che dice: Se mi amate, osservate i miei comandamenti; ed io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, il quale resti con voi per sempre; lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce; ma voi lo conoscete, perché rimane tra voi e sarà in voi (Gv 14, 15-17). Molte sono le cose da approfondire in queste poche parole del Signore; ma sarebbe troppo cercare ogni cosa che qui si può trovare, o pretendere di trovare ogni cosa che qui si può cercare. Tuttavia, prestando attenzione a ciò che noi dobbiamo dire e che voi dovete ascoltare, secondo quanto il Signore vorrà concederci e secondo la nostra e vostra capacità, ricevete per mezzo nostro, o carissimi, ciò che noi possiamo darvi, e chiedete a lui ciò che noi non possiamo darvi. Cristo promise agli Apostoli lo Spirito Paraclito; notiamo però in che termini lo ha promesso. Se mi amate - egli dice - osservate i miei comandamenti; ed io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, il quale resti con voi per sempre: lo Spirito di verità. Senza dubbio si tratta dello Spirito Santo, una persona della Trinità, che la fede cattolica riconosce consostanziale e coeterno al Padre e al Figlio. E' di questo Spirito che l'Apostolo dice: L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5). Come può dunque il Signore, riferendosi allo Spirito Santo, dire: Se mi amate, osservate i miei comandamenti; ed io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, dal momento che senza questo Spirito non possiamo né amare Dio, né osservare i suoi comandamenti? Come possiamo amare Dio per ricevere lo Spirito, se senza lo Spirito non possiamo assolutamente amare Dio? E come possiamo osservare i comandamenti di Cristo per ricevere lo Spirito, se senza questo dono non possiamo osservarli? E' forse da pensare che prima c'è in noi la carità, che ci consente di amare Cristo, e, amandolo e osservando i suoi comandamenti, si può meritare il dono dello Spirito Santo così che la carità (non di Cristo che già era presente, ma di Dio Padre), si riversi nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato? Questa è un'interpretazione errata. Infatti, chi crede di amare il Figlio e non ama il Padre, significa che non ama il Figlio, ma una invenzione della sua fantasia. Perciò l'Apostolo dichiara: Nessuno può dire: Gesù è il Signore, se non nello Spirito Santo (1 Cor 12, 3). Chi può dire: Gesù è il Signore, nel senso che intende l'Apostolo, se non chi lo ama? Molti infatti riconoscono Gesù a parole, mentre col cuore e con le opere lo rinnegano; come appunto dice l'Apostolo: Confessano sì di conoscere Dio, ma con le opere lo negano (Tt 1, 16). Se con le opere si può negare Dio, è altrettanto vero che è con i fatti che lo si confessa. E così nessuno può dire: Gesù è il Signore - con l'animo, con le parole, con i fatti, con il cuore, con la bocca, con le opere - se non nello Spirito Santo; e nessuno lo dice in questo senso se non chi lo ama. Ora, se gli Apostoli dicevano: Gesù è il Signore, e non lo dicevano in modo finto come quelli che lo confessano con la bocca e lo negano con il cuore e con le opere, se insomma lo dicevano in modo autentico, sicuramente lo amavano. E come lo amavano, se non nello Spirito Santo? E tuttavia il Signore ordina loro, prima di tutto di amarlo e di osservare i suoi comandamenti, per poter ricevere lo Spirito Santo, senza del quale essi di sicuro non avrebbero potuto né amarlo né osservare i suoi comandamenti.

[Viene promesso lo Spirito Santo anche a chi lo ha.]
2. Dobbiamo dunque concludere che chi ama lo Spirito Santo, e, avendolo, merita di averlo con maggiore abbondanza, e, avendolo con maggiore abbondanza, riesce ad amare di più. I discepoli avevano già lo Spirito Santo, che il Signore prometteva loro e senza del quale non avrebbero potuto riconoscerlo come Signore; e tuttavia non lo avevano con quella pienezza che il Signore prometteva. Cioè, lo avevano e insieme non lo avevano, nel senso che ancora non lo avevano con quella pienezza con cui dovevano averlo. Lo avevano in misura limitata, e doveva essere loro donato più abbondantemente. Lo possedevano in modo nascosto, e dovevano riceverlo in modo manifesto; perché il dono maggiore dello Spirito Santo consisteva anche in una coscienza più viva di esso. Parlando di questo dono, l'Apostolo dice: Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo ma lo Spirito che viene da Dio, affinché possiamo conoscere le cose che da Dio ci sono state donate (1 Cor 2, 12). E non una volta, ma ben due volte il Signore elargì agli Apostoli in modo manifesto il dono dello Spirito Santo. Appena risorto dai morti, infatti, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20, 22). E per averlo dato allora, forse che non inviò anche dopo lo Spirito promesso? O non era il medesimo Spirito quello che Cristo alitò su di loro e poi ancora inviò ad essi dal cielo (cf. At 2, 4)? Qui si pone un'altra domanda: perché questo dono fu elargito in modo manifesto due volte? Forse questo dono fu elargito visibilmente due volte perché due sono i precetti dell'amore: l'amore di Dio e quello del prossimo, e per sottolineare che l'amore dipende dallo Spirito Santo. Se bisogna cercare un altro motivo, non è adesso il momento, dato che non possiamo tirare troppo in lungo questo discorso. L'importante è tener presente che senza lo Spirito Santo noi non possiamo né amare Cristo né osservare i suoi comandamenti, e che tanto meno possiamo farlo quanto meno abbiamo di Spirito Santo, mentre tanto più possiamo farlo quanto maggiore è l'abbondanza che ne abbiamo. Non è quindi senza ragione che lo Spirito Santo viene promesso, non solo a chi non lo ha, ma anche a chi già lo possiede: a chi non lo ha perché lo abbia, a chi già lo possiede perché lo possieda in misura più abbondante. Poiché se non si potesse possedere lo Spirito Santo in misura più o meno abbondante, il profeta Eliseo non avrebbe detto al profeta Elia: Lo Spirito che è in te, sia doppio in me (2 Sam 2, 9).

3. Quando Giovanni Battista disse: Iddio dona lo Spirito senza misura (Gv 3, 34), parlava del Figlio di Dio, al quale appunto lo Spirito è dato senza misura, perché in lui abita tutta la pienezza della divinità (cf. Col 2, 9). Non potrebbe infatti l'uomo Cristo Gesù essere mediatore tra Dio e gli uomini senza la grazia dello Spirito Santo (cf. 1 Tim 2, 5). Infatti egli stesso afferma che in lui si è compiuta la profezia: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha unto, mi ha mandato a predicare ai poveri la buona novella (Lc 4, 18-21). Che l'Unigenito sia uguale al Padre, non è grazia ma natura; il fatto invece che l'uomo sia stato assunto nell'unità della persona dell'Unigenito, è grazia non natura, secondo la testimonianza del Vangelo che dice: Intanto il bambino cresceva, si fortificava ed era pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in lui (Lc 2, 40). Agli altri, invece, lo Spirito viene dato con misura, e questa misura aumenta, finché si compie per ciascuno, secondo la sua capacità, la misura propria della sua perfezione. Donde l'esortazione dell'Apostolo: Non stimatevi più di quello che è conveniente stimarsi, ma stimatevi in maniera da sentire saggiamente di voi, secondo la misura di fede che Dio ha distribuito a ciascuno (Rm 12, 3). Lo Spirito infatti non viene diviso; sono i carismi che vengono divisi come sta scritto: Vi sono diversità di carismi, ma identico è lo Spirito (1 Cor 12, 4).

4. Dicendo poi: Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, il Signore ci fa capire che egli stesso è Paraclito. Paraclito corrisponde al latino avvocato; e Giovanni dice di Cristo: Abbiamo, come avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto (1 Io 2, 16). In questo senso dice che il mondo non può ricevere lo Spirito Santo, così come sta scritto: Il desiderio della carne è inimicizia contro di Dio: esso infatti non si assoggetta alla legge di Dio né lo potrebbe (Rm 8, 7). Come a dire che l'ingiustizia non può essere giusta. Per mondo qui si intende coloro che amano il mondo di un amore che non proviene dal Padre. E perciò l'amore di Dio, riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato, è l'opposto dell'amore di questo mondo, che ci sforziamo di ridurre e di estinguere in noi. Il mondo quindi non lo può ricevere perché non lo vede né conosce. L'amore mondano, infatti, non possiede occhi spirituali, senza dei quali non è possibile vedere lo Spirito Santo, che è invisibile agli occhi della carne.

5. Ma voi - dice il Signore - lo conoscerete perché rimarrà tra voi e sarà in voi. Sarà in loro per rimanervi, non rimarrà per esservi; poiché per rimanere in un luogo, prima bisogna esserci. E affinché non credessero che l'espressione: rimarrà presso di voi, volesse significare una permanenza simile a quella di un ospite in una casa, spiegò il senso delle parole: rimarrà presso di voi, aggiungendo: e sarà in voi. Lo si potrà dunque vedere in modo invisibile, e non potremmo conoscerlo se non fosse in noi. E' così che noi vediamo in noi la nostra coscienza; noi possiamo vedere la faccia di un altro, ma non possiamo vedere la nostra; mentre possiamo vedere la nostra coscienza e non possiamo vedere quella di un altro. La coscienza, però, non esiste fuori di noi, mentre lo Spirito Santo può esistere anche senza di noi; e che sia anche in noi, è un dono. E se non è in noi, non possiamo vederlo e conoscerlo così come deve essere veduto e conosciuto. (Sant’Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, OMELIA 74)

Io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi.
In quel giorno conoscerete... E' il tempo della Chiesa, che decorre tra la Risurrezione e la fine dei tempi, perché già fin d'ora noi siamo in lui e lui è in noi. Ma per poter conoscere come siamo conosciuti, bisogna aspettare la visione faccia a faccia.

1. Il Signore, dopo aver promesso lo Spirito Santo, affinché non si pensasse che lo Spirito Santo avrebbe preso il suo posto, e che egli non sarebbe stato più con loro, subito aggiunse: Non vi lascerò orfani; ritornerò a voi (Gv 14, 18). Orfani è lo stesso che pupilli. Orfano è un termine greco che corrisponde al latino pupillo. Infatti, dove nel salmo si dice: Tu sarai l'appoggio del pupillo (Sal 9, 14), nel testo greco al posto di pupillo c'è orfano. Non contento quindi di averci fatto figli adottivi del Padre e di aver voluto che noi avessimo, per grazia, il medesimo Padre che è suo per natura, il Figlio di Dio ci dimostra anch'egli in un certo senso affetto paterno, dicendo: Non vi lascerò orfani; ritornerò a voi. E' per lo stesso motivo che ci chiama anche figli dello sposo, quando dice: Verranno giorni in cui sarà tolto lo sposo, e allora i figli dello sposo digiuneranno (Mt 9, 15). Ora, chi è questo sposo, se non Cristo Signore?

2. Proseguendo dice: Ancora un po' e il mondo non mi vedrà più (Gv 14, 19). E che? In quel momento il mondo lo vedeva? E come può essere, se egli per mondo vuole che noi si intenda coloro di cui ha parlato prima, quando, a proposito dello Spirito Santo, ha detto che il mondo non può riceverlo perché non lo vede né lo conosce (Gv 14, 17)? Il mondo, certo, vedeva con gli occhi della carne colui che s'era reso visibile mediante la carne, ma non vedeva il Verbo che era nascosto nella carne: vedeva l'uomo, non vedeva Dio; vedeva il vestito, non vedeva chi lo indossava. Ma siccome dopo la sua risurrezione egli ai discepoli mostrò pure la sua carne, non solo perché la vedessero ma anche perché la toccassero, mentre non la mostrò agli altri, è forse in questo senso che bisogna intendere la frase: Ancora un po' e il mondo non mi vedrà più; voi, invece, mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete (Gv 14, 19).

[La resurrezione sua e la nostra.]
3. Che significa: perché io vivo e voi vivrete? Perché il presente per sé e il futuro per loro, se non perché promise loro la vita anche del corpo, risuscitato da morte, quale era quella che stava per realizzarsi in lui come primizia? E siccome la sua risurrezione era imminente, usa il presente per indicarne l'immediatezza; e siccome la loro risurrezione invece doveva avvenire alla fine del mondo, non dice: vivete, ma: vivrete. In modo discreto e conciso ha promesso le due risurrezioni: la sua immediata, e la nostra per la fine del mondo, usando rispettivamente il presente e il futuro. Perché io vivo - dice - e voi vivrete; cioè noi vivremo perché egli vive. Siccome per mezzo di un uomo venne la morte, così anche per mezzo di un uomo verrà la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così anche in Cristo tutti saranno vivificati (1 Cor 15, 21-22). Nessuno muore se non a motivo di Adamo, e nessuno viene alla vita se non per mezzo di Cristo. E' perché siamo nati che ci ha colti la morte, ed è perché egli vive che noi vivremo: morimmo a lui quando volemmo vivere per noi; ma siccome lui è morto per noi, vive per sé e per noi. Perché, dunque, egli vive, anche noi vivremo. Non possiamo da noi procurarci la vita, così come da noi ci siamo procurata la morte.

4. In quel giorno voi conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi (Gv 14, 20). In quale giorno? Nel giorno di cui ha parlato prima quando ha detto: e voi vivrete. Allora noi potremo finalmente vedere ciò che ora crediamo. Infatti, anche ora egli è in noi e noi siamo in lui; ma questo ora noi lo crediamo, mentre allora ne avremo la piena conoscenza. Ciò che ora conosciamo credendo, allora conosceremo contemplando. Finché, infatti, siamo nel corpo come è adesso, cioè corruttibile e che appesantisce l'anima, siamo esuli dal Signore; camminiamo infatti nella fede e non per visione (cf. 2 Cor 5, 6). Allora, quando lo vedremo così come egli è, lo vedremo faccia a faccia (cf. 1 Io 3, 2.). Se Cristo non fosse in noi anche ora, l'Apostolo non direbbe: Se Cristo è in noi, il corpo è bensì morto per il peccato, lo spirito invece è vita per la giustizia (Rm 8, 10). Egli stesso apertamente afferma che fin d'ora noi siamo in lui, quando dice: Io sono la vite, voi i tralci (Gv 15, 5). In quel giorno, dunque, quando vivremo quella vita in cui la morte sarà stata assorbita, conosceremo che egli è nel Padre, e noi in lui e lui in noi; perché allora giungerà a perfezione quanto per opera sua è già cominciato: la sua dimora in noi e la nostra in lui.

5. Chi ha i miei comandamenti e li osserva: ecco chi mi ama. Chi li custodisce nella memoria, e li attua nella vita; chi li tiene presenti nelle sue parole, e li esprime nei costumi; chi li ha perché li ascolta, e li osserva praticandoli; oppure chi li ha perché li pratica, e li osserva costantemente, ecco chi mi ama. L'amore bisogna dimostrarlo con i fatti altrimenti è una parola vuota e sterile. E colui che mi ama - continua - sarà amato dal Padre mio, e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui (Gv 14, 21). Dice che lo amerà, forse perché ancora non lo ama? No davvero. Come potrebbe infatti amarci il Padre senza il Figlio, o il Figlio senza il Padre? Come possono amare separatamente essi che operano sempre inseparabilmente? Egli dice: lo amerò, per concludere subito: e mi manifesterò a lui. Lo amerò e mi manifesterò, cioè lo amerò per manifestarmi a lui. Ora, infatti, ci ama concedendoci di credere in lui e di rimanere nell'obbedienza della fede; allora ci manifesterà il suo amore concedendoci di vederlo e di ricevere, con la visione beatifica, il premio della nostra fede. E anche noi ora lo amiamo credendo ciò che allora vedremo, mentre allora lo ameremo vedendo ciò che ora crediamo. (Sant’Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, OMELIA 75)

Fonte:http://www.qumran2.net/

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