P. Marko Ivan Rupnik, Prima Domenica di Avvento“vegliate”

Prima Domenica di Avvento
Mc 13,33-37

Congregatio pro Clericis
Siamo all’inizio del nuovo anno liturgico ed è interessante vedere come inizio e fine siano così simili
nel contenuto della parola che viene annunciata. La fine indica che il tempo infatti sta entrando nell’ottavo giorno, in una dimensione nuova, passa nel tempo sacro e la storia si trasforma nella storia di Dio, della storia della salvezza per l’uomo e tutto ciò che è lo scenario del mondo passerà in questa trasformazione di un tempo nuovo.

E con lo stesso annuncio comincia il nuovo anno liturgico, cioè il tempo non è quello che sembra, ma bisogna attendere che sfoci in una nuova dimensione che ne riveli la sacralità, la liturgia. La storia perciò non è quella che noi facciamo, ma bisogna che si trasformi nella verità della storia. Si tratta di un passaggio in uno stato definitivo del mondo e l’anno liturgico ci farà camminare in questo confine tra qui e al di là facendo vedere come queste due realtà si incontrano e fondono in uno stato definitivo del mondo e dell’umanità.

In concreto questa prima domenica – è l’anno dell’evangelista Marco – comincia con “vegliate”, “vigilate”, “vegliate”: tre volte viene esplicitamente fatto questo invito che piuttosto è un comando.

Perché bisogna vigilare e vegliare? Perché non si sa quando il padrone viene, e allora ci si può trovare addormentati. Si tratta di vigilare mentre svolgiamo il compito che ci è stato dato per poter riconoscere il padrone quando verrà, se sbagliamo il padrone il compito che stiamo facendo non ha senso. La vigilanza e la veglia vanno orientate in questa dinamica: tra il compito e il padrone che ce l’ha dato e che alla fine viene.

Ecco il passaggio, si tratta di perforare una dimensione nuova nel nostro compito affinché non diventi in se stesso lo scopo rendendo l'uomo oggetto e vittima di quel compito di cui si è persa la dimensione dell'attesa, il padrone non verrà più perché non c’è, abituati come siamo a essere gli unici protagonisti, primi e ultimi, arrivando a credere di poter gestire anche l'aldilà.

Però il vangelo ci dice che l’aldilà è libero, perché per il vangelo di Marco è la manifestazione dell’amore di Dio. In Marco il discorso dell’apocalisse è la chiave di lettura della passione di Cristo.

Poco dopo aver detto di stare attenti e vegliare perché non sappiamo quando viene il padrone ci sono i versetti della sera in cui fu tradito. Ma se viene a mezzanotte? E a mezzanotte fu processato (Mc 14,53-64). Tutto quasi avviene durante la notte e nessuno se ne accorge: anche la Sua nascita avviene nel profondo della notte e, tranne qualche pastore nessuno se ne è accorto perché non vegliavano; gli unici a vegliare, dice il vangelo, erano i pastori, gli altri no. Poi dice: forse viene al canto del gallo. E infatti, al canto del gallo uno non l’ha riconosciuto, l’ha rinnegato. Forse viene al mattino, e nei primi 15 versetti del cap 15 di Mc  dove si svolge il processo di Pilato, mostrano come nessuno l’abbia riconosciuto. Che cosa è la verità? Sta davanti alla verità e non la riconosce. Così che Marco elenca tutti i momenti salienti in cui l’umanità non sarà in grado di riconoscere Cristo nella sua passione, perché questa storia, questo tempo, ha come costituzione la pasqua di Cristo, ma la nostra convinzione del lavoro e del compito pensano che Cristo deve venire con potenza e gloria, così come il nostro compito deve essere di successo, il lavoro di successo, la vita di salute e via dicendo. Sono tutte fissazioni dell’aldiquà e perciò non si riconosce che la gloria e la potenza del Signore che viene è la passione del Figlio e del nostro Salvatore.

Sono questi i due lati della medaglia della storia e vigilare e vegliare significa scrutare e cercare di vedere attraverso questa massiccia logica del mondo la logica di Dio, del suo amore per l’uomo.



P. Marko Ivan Rupnik

Fonte:http://www.clerus.va/

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