Jesùs Manuel Garcìa, Lectio "Conversione"

III DOMENICA TEMPO ORDINARIO
LECTIO - ANNO B
Prima lettura: Giona 3.1-5.10
 Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Alzati, va' a Nìnive, la grande città, e

annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore.
Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a
percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nì-
nive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono
il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro
condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e
non lo fece.

Incontrare Dio e farlo incontrare anche agli altri è l'idea fondamentale della prima
lettura.
Senza addentrarci nel ginepraio dei problemi sollevati dal testo, consideriamo Giona un
libro più da meditare che da studiare. Vogliamo solo ricordare che il libro, annoverato di
solito tra i profeti, è collocato oggi da molti studiosi tra i libri didattici. Infatti, diversamente
dagli altri testi profetici, non presenta una raccolta di oracoli, limitandosi a quello scarno
annuncio: «Ancora 40 giorni e Ninive sarà distrutta» che rimangono le uniche parole del suo
messaggio. L'assenza di oracoli è felicemente compensata dalla vita stessa del profeta che
annuncia più con i fatti che con le parole, a tal punto da poter affermare che tutta la sua vicenda
diventa epifania di Dio. L'insegnamento allora non sta tanto nelle parole, quanto
piuttosto nella trama che rivela così il suo intento didattico.
Il brano liturgico propone un profeta che ha già sperimentato sulla sua pelle il significato
della conversione: non voleva recarsi a Ninive ad annunciare la salvezza ai pagani, ha
voluto fare di testa sua. Si è ritrovato solo, in mezzo al mare, con l'unica possibilità: quella
di morire annegato. L'amorosa provvidenza divina lo salva (è il significato del grosso pesce)
e li riporta al punto di partenza.
Troviamo ora Giona in seconda edizione, riveduta e migliorata. Di nuovo gli è rivolto
l'invito del Signore che lo invia a Ninive con un ultimatum; « Ancora 40 giorni e Ninive sarà
distrutta » (v. 4). Il numero 40 indica un tempo opportuno per fare qualcosa e prendere decisioni,
indica un'occasione decisiva e forse irripetibile. È il momento di grazia per i Nini-

viti. Di fatto costoro accolgono l'occasione e, sebbene pagani, acconsentono al Dio di Giona
con un'adesione plebiscitaria che interessa re e animali, due estremi per indicare tutti.
Il brano liturgico salta i vv. 6-9 che mostrano l'itinerario di conversione dei Niniviti.
La conclusione del v. 10 sottolinea:
— Dio si qualifica come Dio della vita perché vuole la salvezza di ogni uomo e di tutti
gli uomini (universalismo).
— Dio si serve degli uomini per operare i suoi prodigi (collaborazione): Dio ha voluto
aver bisogno degli uomini.
Finché Giona privatizzava la sua vita, lontano da Dio, non solo non poteva essere utile agli
altri, ma neppure realizzava la propria persona. Aderendo al programma divino, da una
parte Giona realizza se stesso perché fa il profeta e dall'altra diviene elemento e tramite di
salvezza per gli altri. Così è ciascun uomo quando accetta di far parte dell'organigramma
divino.
A questo punto parrebbe di poter concludere il libro di Giona, visto che la sua missione
ha avuto successo, convertendo prima se stesso e poi i Niniviti. Ma terminando così, sembrerebbe
che la conversione sia un tornare indietro una volta sola, il lasciarsi convincere da
Dio una volta per tutte. Il che non è proprio vero. Lo ricorda il capitolo che segue: la conversione
è un'opera continua. Lo afferma, per aliam viam anche la seconda lettura.
Seconda lettura: 1Corinti 7,29-31
 Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie,
vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli
che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero;
quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura
di questo mondo!
 La conversione è uno stato di premurosa e amorosa attenzione alla volontà di Dio,
un impegno a sintonizzare sempre più e sempre meglio la propria vita alle esigenze
del Regno di Dio. Ogni attaccamento morboso viene bocciato, così come risulta un
perditempo ogni cocciutaggine a perpetuare ciò che è effimero. Potrebbe essere
questa una chiave di lettura del minuscolo brano liturgico proposto come seconda
lettura.
A partire dal cap. 7 della prima lettera ai Corinti, Paolo, apostolo e catecheta, risponde
ai quesiti che la comunità gli aveva sottoposto. Il primo di essi trattava del matrimonio e
della verginità. Paolo ribadisce il valore del matrimonio (forse contro tendenze che lo
svalutavano) anche se la verginità sembra rispondere ad un ideale maggiore (cf. v. 7). La
cosa più importante, al di là di possibili gerarchie, consiste nel rispondere alla vocazione
del Signore (cf. v. 17 ss.).

Il brano liturgico è racchiuso tra due affermazioni di transitorietà: «il tempo si è fatto
breve» e «passa infatti la figura di questo mondo!». All'interno sono elencate alcune situazioni
e il loro contrario (aver moglie / non aver moglie; piangere / non piangere...).
Paolo non intende fare previsioni cronologiche, quando afferma che il tempo è breve.
Egli ha di mira il Signore morto e risorto che ha dato avvio ad una situazione nuova e
definitiva: siamo ormai nel tempo finale, quello definitivo. In altre parole, non c'è da
aspettarsi nulla di nuovo perché la vera novità, quella definitiva, è Lui, il Signore risorto.
Se siamo alla svolta finale, significa che la realtà prende senso e colore solo alla luce di
Cristo risorto. Viene tolto il plusvalore che normalmente viene attribuito alle situazioni
(sposarsi, piangere, possedere), soprattutto se considerate solo nel loro aspetto esteriore
(possibile traduzione del greco schema, reso in italiano con «scena», v. 31). Ciò che rimane,
oltre il tempo, è l'attaccamento a Cristo Signore, la configurazione a Lui nel mistero
pasquale. Il brano è quindi una calda esortazione a orientare tutto e a orientarsi
definitivamente verso Lui. Anche questo è conversione. Paolo ha il merito di averci
insegnato un altro aspetto del mai esaurito tema della conversione.
Vangelo: Marco 1,14-20
 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di
Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel
Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone,
mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a
me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre
anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre
Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Esegesi
Le letture bibliche della presente domenica sono caratterizzate dalla duplice nota: la
conversione è accoglienza dell'invito divino al rinnovamento; tale rinnovamento porta però
sulla strada della solidarietà: alcuni annunciano ad altri la loro esperienza di salvezza, perché
tutti ne possono beneficiare. C'è lievitazione per tutti.
La preziosità del brano evangelico poggia sul duplice motivo di novità: incontriamo le
prime parole di Gesù riportate dal Vangelo secondo Marco (vv. 14 -15), cui segue la prima
azione di Gesù, quella di convocare alcune persone, introducendole al suo seguito, con lo
scopo di allargare la cerchia con nuove persone, per la costruzione di una nuova famiglia,
quella della Chiesa (vv. 16-20).

1. Quando Gesù incomincia a parlare, fa riferimento a qualcosa che si è concluso e, più
ancora, ad una novità che irrompe nella storia e alla quale bisogna prepararsi. Tutto questo
è espresso con la categoria a noi nota anche se non sempre molto familiare, come «regno
di Dio». Si tratta di un tema centrale che il novello predicatore propone subito al suo
uditorio. Ma è pure una chiave interpretativa per aprire in parte il mistero della sua persona.
Egli, certamente «rabbi» e pure «profeta» come lo chiama la gente (cf Mc 6,14s; 8,28), si
definisce piuttosto come l'annunciatore del Regno, colui che con la parola dice che il Regno
è presente e con la sua azione lo visibilizza. Mc 1,15, diventa sotto questo aspetto particolarmente
illuminante.
Mediante le coordinate spazio-temporali l'annuncio di Gesù viene situato in un contesto
geografico ben preciso, la Galilea, e in un contesto storico definito, l'arresto del Battista, il
quale, in veste di precursore, era stato l'ultima voce autorevole capace di invitare gli uomini
ad un rinnovamento, espresso esternamente con l'abluzione battesimale. Spentasi questa
voce profetica, ben si può dire: «II tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi
e credete al vangelo».
Numerosi commentatori sono concordi nel leggere in queste parole la visione riassuntiva
del pensiero di Gesù, non necessariamente la citazione ad litteram delle sue parole. È
certo comunque che esse segnano il trapasso da un'epoca ad un'altra, da un atteggiamento
di fiduciosa attesa ad uno di imminente realizzazione. Infatti nel dire «il tempo è compiuto»
si capisce che un processo è arrivato al suo termine dopo uno sviluppo più o meno
lungo. Nel linguaggio di Mc l'espressione fa riferimento al tempo preparatorio dell'A.T. e
presuppone la conoscenza delle varie tappe del piano divino, collegate tra loro da quella
continuità che in Dio è semplice unità, nell'uomo è progressiva rivelazione. Solo Gesù, pienezza
della rivelazione, può dire che il tempo preparatorio è giunto al suo termine e solo
dopo la Pasqua, pienezza della manifestazione di Gesù, la comunità dei credenti può aderire
alla verità secondo cui lui, figlio dell'uomo e figlio di Dio, da inizio ad un'epoca nuova.
Questo tempo allora non è un chronos ma un kairos, vale a dire, non una successione di
attimi fuggenti qualitativamente simili ad altri, bensì un'occasione unica da vivere ora nella
sua interezza ed esclusività, perché questo tempo che «è compiuto» (al perfetto in greco
per indicare un'azione del passato ma con effetti presenti) è la porta di accesso alla situazione
nuova, che Paolo chiama «pienezza dei tempi» (Gal 4,4) e che Marco riconosce nella
presenza del Regno di Dio. Infatti il verbo greco enghiken si può tradurre tanto «è vicino»,
«è arrivato», quanto «è giunto», «è presente».
La venuta del Regno di Dio deve essere veramente qualcosa di straordinario se esige un
cambiamento radicale espresso dall'imperativo «convertitevi» che unito al seguente «credete
al vangelo» indica che passato e presente non si possono mescolare; lo conferma linguisticamente
il termine greco «metanoia» che allude ad un cambiamento di mentalità
(nous = mente), corrispondente all'ebraico shub che esprime il ritorno da una strada sbagliata,
ovviamente per imboccare quella giusta. Bisogna cambiare o ritornare per aderire
con cuore nuovo al «vangelo».
2. Alle prime parole di Gesù segue la prima azione. Anch'essa merita attenzione, proprio
per capire le intenzioni di Gesù. La conversione appena annunciata ha bisogno di mediatori,
di persone che abbiano sperimentato per prime che cosa significhi. Due coppie di

fratelli, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, colti nella quotidianità del loro lavoro,
sono chiamati ad un nuovo servizio. Non dovranno più interessarsi di pesci, ma di uomini,
non tirarli fuori dall'acqua, ma da una vita scialba e insulsa. Devono prospettare loro «il
Regno» che è l'amorosa presenza di Dio nella storia, così come è dato percepirlo con la venuta
di Gesù.
Con la chiamata dei primi discepoli alla sequela di Gesù, si pongono le basi della comunità
ecclesiale. Alcuni punti sono di grande attenzione:
— Sono persone coinvolte nel Regno. Se l'annuncio del Regno è stata la 'passione' di
Gesù, anche loro dovranno avere a cuore la diffusione del Regno.
— Sono persone chiamate ad una vita di comunione, con Gesù prima di tutto e poi tra
loro. Esse non aderiscono ad un programma, ad un 'manifesto', ma ad una persona.
— I chiamati, rispondono con un'adesione personale, pronta e totale. Si aderisce con tutta
la vita e per sempre. Non sono ammessi lavoratori part time.
— Il gruppo non ha nulla della setta. È vero che all'inizio sono solo quattro, ma poi diventeranno
dodici e tutti avranno come compito primario l'annuncio del Regno, la sua diffusione
in mezzo agli uomini (cf. 6,6ss).
Ciò vuol dire che la loro esperienza di incontro con il Signore e di vita con Lui diventa
l'oggetto del loro annuncio. Andranno a presentare una persona, quella verso la quale vale
la pena orientare tutta la propria vita. Sono dei 'convertiti' che avranno la passione di convertire
altre persone. Per la stessa causa. Per il Regno. Perché Dio sia tutto in tutti.
Meditazione
Da questa domenica la liturgia ci fa ascoltare il Vangelo di Marco, il primo dei Vangeli.
Marco a Roma raccolse la predicazione dell'apostolo Pietro e, intorno all'anno 70, la ordinò
nel suo Vangelo, che divenne poi di riferimento per i Vangeli di Matteo e Luca. Oggi ci
viene proposto l'inizio della vita pubblica di Gesù e le sue prime parole. Giovani Battista
era stato arrestato da Erode e ucciso. Il Signore sente giunto il suo tempo, il tempo del
regno di Dio, che egli è venuto ad inaugurare con la buona notizia, il vangelo di Dio.
Anche il mondo di oggi ha bisogno di questa buona notizia in un tempo dove solo le
cattive notizie fanno cronaca. Le parole di questa buona notizia sono semplici, piene di
speranza, ma anche impegnative: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete al Vangelo».
È giunto a compimento il tempo dell'attesa, quello preparato da Dio mediante i sapienti
e i profeti di Israele, rappresentato da Giovanni Battista, l'ultimo dei profeti. Ora è il tempo
del regno di Dio che prende avvio con la vita e le opere del Signore Gesù. Gesù non
comincia da Gerusalemme, la capitale della provincia romana di Giudea, ma dalla
periferia, la Galilea, la più settentrionale delle tre regioni abitate dal popolo d'Israele. Ai
tempi di Gesù la Galilea era diventata una regione malfamata a motivo di forti infiltrazioni
pagane che contaminavano la purezza della fede e la correttezza dei riti ebraici. Terra
anche di gente rivoltosa, mal sopportata dai romani, che allora governavano la Palestina.
Ma Gesù, proprio da questa terra periferica e lontana dalla capitale, inizia la predicazione


del Regno di Dio; qui raccoglie i primi seguaci e qui, da risorto, attenderà i discepoli per il
«secondo» inizio della predicazione evangelica. Insomma, la Galilea sembra assurgere a
terra simbolica per ogni missione evangelica. Si potrebbe dire che se c'è da scegliere un
luogo da cui partire per annunciare il Vangelo, questo dev'essere il luogo periferico,
marginale, escluso, disprezzato, povero, che non conta nulla. Nella «Galilea delle genti» si
sentì risuonare per la prima volta il Vangelo, la buona notizia. Qui, dove poveri, pagani ed
emarginati, zelati rivoluzionari si mescolavano, Gesù cominciò a dire: «il tempo è
compiuto», ossia sono finiti i giorni nei quali la violenza, l'odio, l'abbandono, l'ingiustizia e
l'inimicizia hanno il sopravvento, e sono iniziati gli ultimi tempi, quelli della vittoria di
Dio sul demonio, del bene sul male, della vita sulla morte. La storia degli uomini subisce
una svolta: «il Regno di Dio è vicino», annuncia Gesù.
Il tempo di Dio irrompe nella vita degli uomini in modo inaspettato, mettendo in
discussione le abitudini e i tempi consolidati di ciascuno. Questo inizio chiede una scelta
in un mondo di uomini e donne trascinati dal conformismo, in cui si ha paura di scegliere,
di impegnarsi per qualcosa che non sia solo a proprio vantaggio. Due sono le richieste di
questo inizio: «Convertitevi e credete nel Vangelo». La novità del Vangelo di Gesù inizia
con una richiesta rivolta a ciascuno personalmente, che è anche il segreto rivoluzionario
del cristianesimo. Per cambiare il mondo non si deve innanzitutto chiedere agli altri di
cambiare, ma bisogna cominciare da se stessi. Conversione è infatti cambiamento di se
stessi, del proprio cuore, dei sentimenti, dei pensieri, dell'agire. Insomma un vero
sovvertimento di se stessi. Oggi è facile ed istintivo pretendere che gli altri cambino, ma
Gesù lo chiede per prima cosa a ciascuno dei suoi discepoli. Solo così si può vivere da
cristiani, altrimenti si è come tutti, conformisti nel lamento e nella rassegnazione, senza
sogni e senza visioni per sé e per il mondo. La conversione tuttavia non è un atto magico,
ma una risposta al Signore che parla agli uomini. Essa comincia quando si «crede al
Vangelo», smettendo di credere solo in se stessi. La fede nasce e cresce in una chiamata,
come avvenne quel giorno sul lago di Galilea, quando Gesù incontrò Simone e Andrea,
Giacomo e Giovanni. Erano pescatori, un mestiere che permetteva una vita dignitosa. In
ambedue le situazioni tutto comincia con il «vedere» di Gesù, come avevamo ascoltato già
domenica nel Vangelo di Giovanni. Gesù «vede», non è distratto, si accorge di noi, ci
guarda nella quotidianità delle diverse occupazioni, cogliendo il desiderio di una vita
migliore. Non disprezza il lavoro di quegli uomini, ma rivolge loro un invito: «Venite
dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». «Venite dietro a me» è l'invito alla
sequela, ad andare dietro a Gesù, non davanti. Davanti sta lui. Il discepolo lo segue per
poter imitarlo, essere come lui, smettere di fare il protagonista e il padrone della sua vita.
Seguire Gesù è la vita del cristiano, per il quale non esiste un tempo di apprendimento
dopo il quale si diventa maturi e si smette di seguire Gesù, perché si è diventati maestri.
Chi non rimane discepolo per tutta la vita, sarà un pessimo maestro. Poi segue una
promessa: «Vi farò diventare pescatori di uomini». Gesù vuole trasformare la vita di quei
pescatori, e insegnerà loro un nuovo modo di lavorare, non solo per sé, bensì per gli altri.
Il mondo ha bisogno di pescatori, di gente che nel mare cerca uomini e donne che si
uniscano con loro a Gesù. È l'inizio della missione. Fin dal primo momento il Signore
15

mostra che chiamata e missione vanno di pari passo. Infatti non esiste cristiano autentico
che non sia anche uno che comunica il Vangelo ricevuto, come non esiste Chiesa se non
missionaria.
Lo possiamo capire bene dalla vicenda di Giona, profeta difficile che non accetta di
buon grado la chiamata di Dio, anche perché lo voleva mandare a Ninive, la capitale di un
grande impero, la grande nemica di Israele. Per questo era fuggito una prima volta, ma poi
aveva accettato di annunciare la Parola di Dio dopo essere stato salvato dall'abisso della
morte. Il testo evidenzia la grandezza della città, che Giona cominciò a percorrere. La
sorpresa fu grande: non era ancora arrivato a percorrerne la metà, che già i cittadini di
Ninive «credettero a Dio» e si convertirono. Avevano ascoltato la parola di Dio proclamata
da Giona e questo aveva cambiato il loro cuore. La parola di Dio compie il miracolo della
conversione se viene ascoltata. E Dio mostra la sua grande misericordia davanti a un
popolo che ascolta. Erano lontani da Dio, erano nemici di Israele, eppure Dio si preoccupò
di loro, perché Dio si accorge della forza del male e cerca uomini che possano essere suoi
profeti, comunicare che è possibile cambiare, cessare di compiere il male ascoltando la
parola di Dio e facendo il bene.
«Il tempo si è fatto breve», dice Paolo ai cristiani di Corinto. «D'ora innanzi, quelli che
hanno moglie, vivano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non
piangessero; quelli che gioiscono come se non gioissero; quelli che comprano come se non
possedessero; quelli che usano i beni del mondo come se non li usassero pienamente;
passa infatti la figura di questo mondo» (7, 29-31). Gli affetti, il pianto, il godere, il
comprare, l'usare... spesso esauriscono le nostre giornate, la nostra mente, la nostra vita, a
tal punto da rinchiuderla come in una rete inestricabile. C'è come una corsa inarrestabile
verso il vivere individuale, con il problema centrale dell'affermazione di sé, con il culto
scatenato del proprio corpo, con la paura di invecchiare, di non prevalere... Dopo la fine
delle ideologie e dei sogni sul mondo, sembra che l'unica vera passione sia l'amore per se
stessi e l'unico vero oltranzismo sia l'individualismo. Il Signore viene dentro questa rete
ingarbugliata che imprigiona, mortifica e intristisce con sempre più violenza la nostra vita
per scioglierla e per allargarla. Gesù vuole ampliare il nostro cuore all'amore per tante
altre persone, vuole che piangiamo non solo su noi stessi ma che ci uniamo semmai al
pianto di coloro che sono nell'afflizione, vuole che la gioia non sia riservata a pochi
fortunati ma che tanti possano gioire, vuole che i beni di questo mondo non siano
privilegio di alcuni, perché essi sono destinati da Dio a tutti. È quello che intuirono i
quattro discepoli, dopo aver ascoltato l'invito di Gesù. Il Vangelo è «la» parola sulla nostra
vita: indica a ciascuno la sua vocazione, la sua strada, il suo cammino. Quei quattro, anche
se non lo avevano capito appieno, si fidarono di quella chiamata e, «subito, lasciarono le
reti e lo seguirono». Il Regno di Dio inizia in questo modo, sulle rive del lago di Galilea. E
continua lungo la storia con la stessa logica: la parola di Gesù, il Vangelo, percorre le rive
delle tante Galilee di oggi cercando uomini e donne disponibili a diventare «pescatori di
uomini».

Conversione
«Quando sono diventato frate
speravo di convertire il mondo intero.
Sarò felice se riuscirò a salvare me stesso.
E mi sono accorto
che sono io che devo essere diverso
e non l'altro».
(Davide Maria Turoldo)
Preghiere e racconti
Il Regno e la guarigione dal male di vivere
Marco ci conduce al momento sorgivo e fresco del Vangelo, a quando una notizia bella inizia
a correre per la Galilea, annunciando con la prima parola: il tempo è compiuto, il regno
di Dio è qui. Gesù non dimostra il Regno, lo mostra e lo fa fiorire dalle sue mani: libera,
guarisce, perdona, toglie barriere, ridona pienezza di relazione a tutti, a cominciare dagli
ultimi della fila. Il Regno è Dio venuto come guarigione dal male di vivere, come fioritura
della vita in tutte le sue forme.
La seconda parola di Gesù chiede di prendere posizione: convertitevi, giratevi verso il Regno.
C'è un'idea di movimento nella conversione, come nel moto del girasole che ogni
mattino rialza la sua corolla e la mette in cammino sui sentieri del sole. Allora: “convertitevi”
cioè “giratevi verso la luce perché la luce è già qui”. Ogni mattino, ad ogni risveglio,
posso anch'io “convertirmi”, muovere pensieri e sentimenti e scelte verso una stella polare
del vivere, verso la buona notizia che Dio oggi è più vicino, è entrato di più nel cuore del
mondo e nel mio, all'opera con mite e possente energia per cieli nuovi e terra nuova.
Anch'io posso costruire la mia giornata su questo lieta certezza, non tenere più gli occhi
bassi sui miei mille problemi, ma alzare il capo verso la luce, verso il Signore che mi assicura:
io sono con te, non ti lascio più, non sarai mai più abbandonato. Credete “nel” Vangelo.
Non al, ma nel Vangelo. Non basta aderire ad una dottrina, occorre buttarsi dentro,
immergervi la vita, derivarne le scelte.
Camminando lungo il lago, Gesù vide… Vede Simone e in lui intuisce Pietro, la Roccia.
Vede Giovanni e in lui indovina il discepolo dalle più belle parole d'amore. Un giorno,
guarderà l'adultera trascinata a forza davanti a lui, e in lei vedrà la donna capace di amare
bene di nuovo. Il Maestro guarda anche me, nei miei inverni vede grano che germina, generosità
che non sapevo di avere, capacità che non sospettavo, lo sguardo di Gesù rende il
cuore spazioso. Dio ha verso di me la fiducia di chi contempla le stelle prima ancora che
sorgano.
Seguitemi, venite dietro a me. Gesù non si dilunga in motivazioni, perché il motivo è lui,
che ti mette il Regno appena nato fra le mani. E lo dice con una frase inedita: Vi farò pescatori
di uomini. Come se dicesse: “vi farò cercatori di tesori”. Mio e vostro tesoro sono gli
uomini. Li tirerete fuori dall'oscurità, come pesci da sotto la superficie delle acque, come
neonati dalle acque materne, come tesoro dissepolto dal campo. Li porterete dalla vita
sommersa alla vita nel sole. Mostrerete che è possibile vivere meglio, per tutti, e che il
Vangelo ne possiede la chiave.
(Ermes Ronchi)
Racconto di vocazione
Ognuno di noi, soprattutto se anziano ma non colpito da demenza senile, va sovente con i
suoi ricordi al passato, in particolare a quello che è stato l’inizio, il cominciare di una viGuarda
Piemontese (CS) - 2014

cenda, di un amore che lo ha segnato per tutta la vita. Anche il cristiano fa questa operazione
di cercare nel passato, quasi per riviverla, l’ora della conversione; o meglio, per moltissimi
l’ora della vocazione, quando si è diventati consapevoli con il cuore che forse ci era
rivolto un monito, che forse il Signore voleva che fossimo coinvolti nella sua vita più di
quanto lo eravamo stati fino ad allora. Noi la chiamiamo, appunto, ora della vocazione.
La pagina del vangelo di questa domenica vuole essere proprio un racconto di vocazione
in cui può specchiarsi chi predispone tutto per ascoltare la chiamata di Gesù, oppure può
essere l’occasione per ricordarla come un evento del passato, che può avere ancora o non
avere più forza, addirittura significato. Gesù torna in Galilea, la terra della sua infanzia,
per iniziare a proclamare un messaggio che sentiva dentro di sé come una missione da
parte di Dio Padre.
Incomincia questa vita di predicazione e di itineranza dopo che Giovanni, il suo rabbi, il
suo maestro, colui che lo ha educato nella vita conforme all’alleanza con Dio e lo ha anche
immerso nelle acque del Giordano (cf. Mc 1,9), è stato messo in prigione da Erode. È la fine
di chi è profeta, e Gesù subito se la trova davanti come necessitas umana: se egli continue -
rà sulla strada del suo maestro, prima o poi conoscerà la persecuzione e la morte violenta.
Gesù inizia a proclamare la buona notizia, il Vangelo di Dio, nella consapevolezza che il
tempo della preparazione, per Israele tempo dell’attesa dei profeti, che il tempo della pazienza
di Dio ha raggiunto il suo compimento, come il tempo di una donna gravida. Alla
fine della gravidanza c’è il parto, e così Gesù annuncia: “Il tempo è compiuto e il regno di
Dio si è fatto vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.
Ecco la sintesi della sua predicazione: c’è l’inizio di un tempo nuovo in cui è possibile far
regnare Dio nella vita degli uomini; affinché questo avvenga occorre convertirsi, ritornare
a Dio, e poi credere alla buona notizia che è la presenza e la parola di Gesù stesso. Sì, è
solo un versetto che dice questa novità, eppure è l’inizio di un tempo che dura ancora oggi
e qui: è possibile che Dio regni su di me, su di te, su di noi, e così avviene che il regno di
Dio è venuto.
Di fronte a questa gioiosa notizia, ma anche a questa nuova possibilità offerta dalla presenza
di Gesù, ci siamo noi uomini e donne, che ancora oggi ascoltiamo il Vangelo. Che cosa
facciamo? Come reagiamo? Stiamo forse vivendo quotidianamente, intenti al nostro lavoro,
alla nostra occupazione quotidiana per guadagnarci da vivere, poco importa quale sia;
oppure siamo in un momento di pausa; oppure siamo con altri a discorrere… Non c’è
un’ora prestabilita: di colpo nel nostro cuore, senza che gli altri si accorgano di nulla, si accende
una fiammella.
“Chissà? Chissà se sento una voce? Riuscirò a rispondere ‘sì’? Sarà per me questa voce che
mi chiama ad andare? Dove? A seguire chi? Gesù? E come faccio? Sarà possibile?”. Tante
domande che si intersecano, che svaniscono e ritornano, ma se sono ascoltate con attenzione
allora può darsi che in esse si ascolti una voce più profonda di noi stessi, una voce che
vien da un aldilà di noi stessi, eppure attraverso noi stessi: la voce del Signore Gesù! È così
che inizia un rapporto tra ciascuno di noi e lui, sì, lui, il Signore, presenza invisibile ma
viva, presenza che non parla in modo sonoro ma attrae…
Qui nel vangelo secondo Marco questo processo di vocazione è sintetizzato e per così dire
stilizzato dall’autore, che narra solo l’essenziale: Gesù passa, vede e chiama; qualcuno

ascolta e prende sul serio la sua parola “Seguimi!” e si coinvolge nella sua vita. È ciò che è
vero per tutti ed è inutile dire di più: sarebbe solo un inseguire processi psicologici… Ma
l’essenziale è stato detto, una volta per tutte: accolta la vocazione, si abbandonano le reti,
cioè il mestiere, si abbandonano il padre e la barca, cioè l’impresa famigliare, e così ci si
spoglia e si segue Gesù.
Attenzione però: la vocazione è un’avventura piena di grandezza ma anche di miseria! Per
comprenderlo, è sufficiente seguire nei vangeli la vicenda di questi primi quattro chiamati.
Il primo, Pietro, sul quale Gesù aveva riposto molta fiducia, vivendo vicino a lui spesso
non capisce nulla di lui (cf. Mc 8,32; Mt 16,22), al punto che Gesù è costretto a chiamarlo
“Satana” (Mc 8,33; Mt 16,23); a volte è distante da Gesù fino a contraddirlo (cf. Gv 13,8); a
volte lo abbandona per dormire (cf. Mc 14,37-41 e par.); e infine lo rinnega, dice di conoscere
se stesso e di non avere mai conosciuto Gesù (cf. Mc 14,66-72 e par.; Gv 18,17.25-27).
Andrea, Giacomo e Giovanni in molte situazioni non capiscono Gesù, lo fraintendono e
non conoscono il suo cuore; i due figli di Zebedeo, in particolare, sono rimproverati aspramente
da Gesù quando invocano un fuoco dal cielo per punire chi non li ha accolti (cf. Lc
9,54-55); e sempre essi, al Getsemani, dormono insieme a Pietro. Ma c’è di più, e Marco lo
sottolinea in modo implacabile: coloro che qui, “abbandonato tutto seguirono Gesù”, nell’ora
della passione, “abbandonato Gesù, fuggirono tutti” (Mc 14,50)…
Povera sequela! Sì, la mia sequela, la tua sequela, caro lettore. Non abbiamo davvero molto
di cui vantarci… Dobbiamo solo invocare da parte di Dio tanta misericordia e ringraziarlo
perché, nonostante tutto, stiamo ancora dietro a Gesù e tentiamo ancora, giorno dopo giorno,
di vivere con lui.
(Enzo Bianchi)
Signore, vieni a invitarci
 Per essere un buon danzatore, con Te come con tutti,
non occorre sapere dove la danza conduce.
Basta seguire,
essere gioioso,
essere leggero,
e soprattutto non essere rigido.
Non occorre chiederti spiegazioni
sui passi che ti piace fare.
Bisogna essere come un prolungamento,
vivo ed agile, di te.
E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l'orchestra
scandisce.

Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito,
e facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica;
dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza,
che la tua Santa Volontà
è di una inconcepibile fantasia,

e che non c'è monotonia e noia
se non per le anime vecchie,
che fanno tappezzeria
nel ballo gioioso del tuo amore.
Signore, vieni a invitarci.

Se certe arie sono spesso in minore, non ti diremo
che sono tristi;
se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo
che sono logoranti.
E se qualcuno ci urta, la prenderemo in ridere;
sapendo bene che questo capita sempre quando si danza.
Signore, insegnaci il posto
che tiene, nel romanzo eterno
avviato fra te e noi,
il ballo singolare della nostra obbedienza.
Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni;
in essa quel che tu permetti
da suoni strani
nella serenità di quel che tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno
la nostra condizione umana
come un vestito da ballo che ci farà amare da te,
tutti i suoi dettagli
come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita,
non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato,
non come un match dove tutto è difficile,
non come un teorema rompicapo,
ma come una festa senza fine
in cui l'incontro con te si rinnova,
come un ballo,
come una danza,
fra le braccia della tua grazia,
nella musica universale dell'amore.
Signore, vieni a invitarci.
(Madeleine DELBRÉL, La danza dell'obbedienza, in Noi delle strade, Torino, Gribaudi,
1988, 86-89).
Conversione
«Convertitevi e credete all'Evangelo!» (Marco 1,15 ); «Convertitevi, perché il Regno dei
cieli è vicinissimo!» (Matteo 4,17). La richiesta di conversione è al cuore delle due differenti
redazioni del grido con cui Gesù ha dato inizio al suo ministero di predicazione.
Collocandosi in continuità con le richieste di ritorno al Signore di Osea, di Geremia e di
tutti i profeti fino a Giovanni Battista (cfr. Matteo 3,2), anche Gesù chiede conversione, cioè
ritorno (in ebraico teshuvah) al Dio unico e vero. Questa predicazione è anche quella della
chiesa primitiva e degli apostoli (cfr. Atti 2,38; 3,19) e non può che essere la richiesta e
l'impegno della chiesa di ogni tempo.
Il verbo shuv, che appunto significa «ritornare», è connesso a una radice che significa
anche «rispondere» e che fa della conversione, del sempre rinnovato ritorno al Signore, la
responsabilità della chiesa nel suo insieme e di ciascun singolo cristiano. La conversione
non è infatti un'istanza etica, e se implica l'allontanamento dagli idoli e dalle vie di peccato
che si stanno percorrendo (cfr. 1 Tessalonicesi 1,9; 1 Giovanni 5,21), essa è motivata e
fondata escatologicamente e cristologicamente: è in relazione all'Evangelo di Gesù Cristo e
al Regno di Dio, che in Cristo si è fatto vicinissimo, che la realtà della conversione trova
tutto il suo senso. Solo una chiesa sotto il primato della fede può dunque vivere la
dimensione della conversione. E solo vivendo in prima persona la conversione la chiesa
può anche porsi come testimone credibile dell'Evangelo nella storia, tra gli uomini, e
dunque evangelizzare. Solo concrete vite di uomini e donne cambiate dall'Evangelo, che
mostrano la conversione agli uomini vivendola, potranno anche richiederla agli altri. Ma
se non c'è conversione, non si annuncia la salvezza e si è totalmente incapaci di richiedere
agli uomini un cambiamento. Di fatto, dei cristiani mondani possono soltanto incoraggiare
gli uomini a restare quel che sono, impedendo loro di vedere l'efficacia della salvezza: così
essi sono di ostacolo all'evangelizzazione e depotenziano la forza dell'Evangelo. Dice un
bel testo omiletico di Giovanni Crisostomo: «Non puoi predicare? Non puoi dispensare la
parola della dottrina? Ebbene, insegna con le tue azioni e con il tuo comportamento, o
neobattezzato. Quando gli uomini che ti sapevano impudico o cattivo, corrotto o
indifferente, ti vedranno cambiato, convertito, non diranno forse come i giudei dicevano
dell'uomo cieco dalla nascita che era stato guarito: “È lui?”. “Sì, è lui!” “No, ma gli
assomiglia”. “Non è forse lui?”». Possiamo insomma dire che la conversione non coincide
semplicemente con il momento iniziale della fede in cui si perviene all'adesione a Dio a
partire da una situazione «altra», ma è la forma della fede vissuta.
(Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità, 67-70).
Vieni, seguimi!
Secondo Girolamo, la parola di vocazione che Gesù pronuncia corrisponde a una
nuova creazione. Chi si incontra con Gesù rimane affascinato dal suo volto, scopre la sua
realtà e intraprende il cammino di ritorno al Padre.
E subito li chiamò: e quelli, lasciato il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni, lo seguirono.
Qualcuno potrebbe dire: — Ma questa fede è troppo temeraria. Infatti, quali segni avevano

visto, da quale maestà erano stati colpiti, da seguirlo subito dopo essere stati chiamati?
Qui ci vien fatto capire che gli occhi di Gesù e il suo volto dovevano irradiare qualcosa di
divino, tanto che con facilità si convertivano coloro che lo guardavano. Gesù non dice
nient'altro che «seguitemi», e quelli lo seguono. È chiaro che se lo avessero seguito senza
ragione, non si sarebbe trattato di fede ma di temerarietà. Infatti, se il primo che passa dice
a me, che sto qui seduto, vieni, seguimi, e io lo seguo, agisco forse per fede?
Perché dico tutto questo? Perché la stessa parola del Signore aveva l'efficacia di un atto:
qualunque cosa egli dicesse, la realizzava. Se infatti «egli disse e tutto fu fatto, egli
comandò e tutto fu creato» [Sal 148,5], sicuramente, nello stesso modo, egli chiamò e
subito essi lo seguirono.
«E subito li chiamò: e quelli subito, lasciato il loro padre Zebedeo...» ecc. «Ascolta,
figlia, e guarda, e porgi il tuo orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre: il re
desidera la tua bellezza» [Sal 44,11ss.]. Essi dunque lasciarono il loro padre nella barca.
Ascolta, imita gli apostoli: ascolta la voce del Salvatore, e trascura la voce carnale del
padre. Segui il vero Padre dell'anima e dello spirito, e abbandona il padre del corpo. Gli
apostoli abbandonano il padre, abbandonano la barca, in un momento abbandonano ogni
loro ricchezza: essi, cioè, abbandonano il mondo e le infinite ricchezze del mondo. Ripeto,
abbandonarono tutto quanto avevano: Dio non tiene conto della grandezza delle ricchezze
abbandonate, ma dell'animo di colui che le abbandona. Coloro che hanno abbandonato
poco perché poco avevano, sono considerati come se avessero abbandonato moltissimo.
(GIROLAMO (347-420), Commento al vangelo di Marco, 2 (Tr.: R. MINUTI-R.
MARSIGLIO, Roma, 1965, 35-36).
Butto la rete
Signore, la mia sola sicurezza sei tu, come il mare che ho davanti e nel quale butto la
rete della mia vita. Anche se finora non ho pescato nulla, anche se a volte non ne ho la
voglia, io so, Signore, che se avrò la forza di buttare continuamente questa rete, troverò il
senso della verità.
(E. OLIVERO, L’amore ha già vinto. Pensieri e lettre spirituali 1977-2005, Cinisello
Balsamo, San Paolo, 2005, 58).
Preghiera
Signore, tu hai aperto il mare e sei venuto fino a me;
tu hai spezzato la notte e hai inaugurato per la mia vita un giorno nuovo!
Tu mi hai rivolto la tua Parola e mi hai toccato il cuore;
mi hai fatto salire con te sulla barca e mi hai portato al largo.
Signore, Tu hai fatto cose grandi!
Ti lodo, ti benedico e ti ringrazio, nella tua Parola, nel tuo Figlio Gesù e nello Spirito
Santo.
Portami sempre al largo, con te, dentro di te e tu in me,

per gettare reti e reti di amore,
di amicizia, di condivisione,
di ricerca insieme del tuo volto e del tuo regno già su questa terra.
Signore, sono peccatore, lo so, ma anche per questo ti ringrazio, perché tu non sei
venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori e io ascolto la tua voce e ti seguo.
Ecco, Padre, lascio tutto e vengo con te…
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio,
ci siamo serviti di:
o serviti di:
- Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
---
- Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. II: Dall’ingresso in Gerusalemme fino
alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria
Editrice Vaticana, 2012.
- E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Anno B, Milano,
Vita e Pensiero, 2008.
- Comunità di S. Egidio, La Parola e la storia, Milano, Vita e Pensiero, 2011.

Fonte:http://www.catechistaduepuntozero.it/

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