don Marco Pedron,"La passione di Gesù Dio"

La passione di Gesù Dio
don Marco Pedron
Domenica delle Palme (Anno B) 

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La Passione di Gesù è la storia di un uomo innamorato perdutamente di Dio. Questo suo amore e la
fedeltà a quest'amore lo portarono fino all'esito estremo della morte. Possiamo capire quello che accade in questi eventi solo rifacendoci alla passione che quest'uomo ebbe per le persone, per chi era lebbroso, per le donne, per gli ultimi, per tutto ciò che era piccolo, insignificante e rigettato dagli uomini. Gesù era innamorato dell'uomo, perché lì vi trovava una ricchezza più profonda: Dio. Questo amore e questa passione li ritroviamo nell'animo poetico di Gesù quando dice le Beatitudini; è lo stupore che prova di fronte agli uccelli del cielo o ai gigli del campo; è la misericordia che prova di fronte agli uomini malati; è la tenerezza che sente di fronte alle madri o ai padri che hanno perso i loro figli; è l'ardore con cui si scaglia contro i farisei e gli scribi ipocriti; è la violenza con cui scaccia i venditori dal tempio di Gerusalemme. Nel racconto della Passione questo amore e questa passione sono la forza, la scelta di percorrere fino in fondo il suo cammino in fedeltà al suo cuore, alla sua anima e al suo Dio. Ciò che qui Gesù compie è nient'altro che la continuazione estrema di tutta la sua vita. Tutta la sua vita è stata vissuta con passione, con intensità, bruciando, amando, piangendo, commovendosi, non passando indifferente vicino a niente, infuocato ora d'amore e ora di sdegno. Una vita vibrante, appassionata, ricca di tutti i sentimenti che un uomo può provare. Gesù pensa: "Ciò che vivo, ciò che sento, i miracoli e soprattutto mio Padre non mi hanno mai abbandonato e tradito. Io mi sono fidato e loro mi hanno accompagnato fin qui. Perché non dovrei fidarmi proprio ora? Se mio Padre non mi ha mai tradito, perché dovrebbe farlo proprio adesso? Sono stato condotto per tutta la vita da una Voce che mi diceva: "Tu sei il Figlio mio diletto, in te mi sono compiaciuto". Sono stato accompagnato per tutta la vita da una Mano che mi ha indicato la strada e che mi ha condotto con amore. Sono stato condotto dalla mia coscienza a mettere in discussione tante norme, leggi e usi consolidati per secoli, preso per eretico e per pazzo. Sono stato spinto a fidarmi di ciò che sentivo, a non aver paura di chiamare Dio con il nome di "Padre", a credere nella forza che c'è in me, a credere nella forza degli uomini. Sembrava incredibile, ma non lo era; sembrava impossibile e, invece, si è verificato. Mi sono fidato e la Vita mi ha condotto. Sono stato fedele a questa Voce e lei è stata fedele a me. Non mi ha mai tradito. In tutti questi momenti sembrava di essere di fronte a qualcosa d'impossibile. Ma io le ho creduto e lei mi ha dato ragione. Adesso mi trovo di fronte a qualcosa di incomprensibile, di inspiegabile, di non ragionevole, di atroce. Non capisco, ma mi fido. Dio non mi ha mai tradito. E, se è Dio, non lo farà neppure ora". Così Gesù rimane fedele alla sua vita, al suo amore per l'uomo e per tutto ciò che vive, e soprattutto alla sua unica e vera passione: Dio. E quando tutto sembrò finire, concludersi; quando tutto sembrò chiudersi Dio non lo tradì. La Passione è la storia di quest'uomo fedele a se stesso e al proprio profondo, innamorato di questo Dio che non lo lasciò, ma che confermò con la resurrezione che tutto ciò che Gesù viveva era "Dio".

In Gesù possiamo anche noi acquisire la forza per compiere il nostro viaggio, fino in fondo, e per vivere con passione la nostra vita. In tutti questi personaggi ci possiamo rispecchiare per capire come noi viviamo nella vita di ogni giorno, con quali atteggiamenti e con quale fiducia o paura. In loro possiamo rivederci e ritrovarci, e comprendere meglio più in profondità la nostra vita. Non sono altro che simboli profondi che vivono in ciascuno di noi e in ogni uomo.

La liturgia dell'anno propone la passione secondo Mc

14, 1-3: il complotto contro Gesù. "E non se ne sono accorti!".

Sacerdoti e scribi tentano di ucciderlo, ma la cosa dev'essere silenziosa e ingannevole. Non si deve sapere, non dev'essere pubblica, deve rimanere un affare privato. Il male ama l'inganno e il nascondimento. Il male s'insinua pericolosamente nella vita delle persone e del mondo, e queste non se ne accorgono. Il male manipola le notizie, gestisce le informazioni, falsifica la realtà e quasi nessuno se ne accorge. Il Figlio di Dio è stato condannato e ucciso come un impostore, e tutto è stato costruito sulla falsità. E' successo 2000 anni fa. Succede ancora. E non se ne sono accorti!!!

14, 3-9: l'unzione di Betania. "Non ci resta che amare". Due giorni prima della crocifissione Gesù partecipa ad una cena a Betania. Una donna gli si accosta e gli unge il capo con un unguento prezioso. Non era un gesto insolito, ma si usava, in genere, solo in occasioni solenni. Il valore dell'unguento è molto elevato, stimato quasi quanto il salario annuo di un lavoratore. A 15 anni si ha l'illusione e l'afflato idealistico di credere che si potranno risolvere tutti i problemi umani. A 20 anni si crede che le guerre potrebbero finire, basterebbe che le parti accettassero il disarmo, e che sia colpa solo di alcuni stupidi politici se le cose vanno così. A 25 anni si scopre che i dittatori non si creano da sé, ma vengono generati dalle circostanze storiche e che sono il frutto di un sistema molto più ampio, accettato e voluto. A 30 anni si capisce che in quel sistema ci siamo anche noi, e che non sono le armi fanno le guerre, ma sono l'odio, l'angoscia, la paura e la disperazione che abitano dentro i nostri cuori che producono i conflitti, creando il bisogno di difendersi, di attaccare, di distruggere il pericolo prima che il pericolo distrugga noi. Si capisce che in casa nostra ci sono guerre mondiali. L'unica differenza è che si combattono tra 3-4 persone; che sangue, vendette e odio scorrono a piene mani nelle nostre case, con i nostri vicinanti e nei nostri rapporti. Si capisce che i duci e i dittatori li abbiamo al lavoro, in casa nostra, nelle nostre vie. Allora si comprende che non resta altra cosa da fare che cambiare noi stessi. Non cambieremo il mondo, ma potremmo cambiare il nostro mondo. Allora si capisce che il vero e unico territorio su cui siamo sovrani è il nostro cuore e che lì possiamo decidere se fare della nostra vita un campo di battaglia o di pace. Questo è quello che fa Gesù. Non è riuscito a cambiare il mondo, non è riuscito a portare il regno di Dio sulla terra, e in questo ha fallito. Ma ciò che ha potuto fare è stato portare il Regno di Dio nella sua vita e con la sua vita. Anche noi viviamo l'impotenza di Gesù quando di fronte a certe situazioni, dopo aver lottato con tutte le nostre forze e con tutta la passione che abbiamo dentro, non ci resta che stendere la mani perché ci ritroviamo impotenti.

E' a questo punto che si fa avanti questa donna con un gesto di assoluta bontà. Che cosa può fare questa donna per Gesù? Niente. In che modo lo può aiutare? In nessun modo. Può togliergli la delusione, il senso di fallimento, di fine che Gesù vive? No. Questa donna non può fare più niente, non può cambiare o togliere niente dal corso che hanno preso gli avvenimenti con Gesù. Non può fare nulla. Ma può amarlo. E così le sue mani delicate e tenere, curano, accarezzano e sollevano il capo di Gesù. "Lasciatela stare, lasciatela che mi ami, lasciate che mi conforti, lasciate che si prenda cura di me". E' l'amore! Quando non si può fare più niente, possiamo sempre amare, stare vicini, stare a fianco, prenderci cura, stare silenziosamente presenti. Quando più nulla è possibile fare, non ci resta che amare. E questo è tutto il nostro potere.

14, 10-21: Giuda. "L'illusione del denaro".

Com'è stato possibile che uno di quelli che seguivano, che amavano Gesù, lo abbia tradito? Com'è stato possibile che uno di quelli che per Lui avevano lasciato tutto lo abbia consegnato ai nemici? Rimane un mistero. Mc fa un accenno al denaro. Cosa non si fa per denaro? Chi non si vende per denaro? Per il denaro si vende ciò che si ha di più prezioso, di più caro, di più importante: il proprio cuore, la propria anima, l'affetto e il proprio tempo. E quando noi abbiamo perso tutto questo per il denaro, cosa ci rimane? Chi insegue il denaro finisce come Giuda, che disperato s'impicca. Il denaro è un'illusione affascinante che ti conduce alla disperazione quando ti accorgi che, credendo di aver tutto, di poter tutto, in realtà, non hai niente, non hai amato, non hai vissuto, hai solo inseguito un'illusione, un'apparenza e un sogno. E' la morte.

14, 22-25: l'eucarestia: "Che io sia come il pane e come il vino".

Il sinedrio ha già deciso di condannarlo. Gesù, come ogni buon ebreo, ogni anno celebra la Pasqua. Tutto si svolge secondo lo schema solito, rituale. Da tanti anni, fin da quando erano bambini i Dodici avevano celebrato così la Pasqua, il passaggio del Mar Rosso, la liberazione dalla schiavitù. Ma adesso Gesù aggiunge alla preghiera due frasi: "Prendete questo è il mio corpo" e "questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti". Gesù si chiede il senso della sua vita, di ciò che ha detto e di ciò che ha fatto. Tutto sembra crollare, svanire, dissuadersi. Cosa rimane? Che senso ha la sua vita? Gesù si identifica nel popolo ebreo: lui è solo, reietto e perseguitato come il popolo ebreo in Egitto. Lui è pieno di angoscia per quel passaggio. Gli sembra che tutto sia finito, che il mare della morte sia invalicabile (così sembrò il Mar Rosso agli ebrei). Lui è quell'uomo che vaga nel deserto, tra pericoli, serpenti, nemici, e che crede in una terra promessa che Lui chiama "regno di Dio". Lui è quel Mosè che celebra la Pasqua. Lui è quel Mosé che invita gli uomini a credere in un regno davvero diverso, nuovo, inaspettato, e che per questo si prende tutto l'odio e la rabbia degli uomini stessi. Ma adesso con l'immagine del pane e del vino, Gesù fa della sua vita un dono. Gesù dice: "Sì, sono io quel pane che viene spezzato. Sì, sono io quel vino che viene versato. La mia fedeltà mi sta portando verso quest'estrema conseguenza della mia vita. Ma se deve succedere così, perché non può compiersi come il morire del grano del campo, come il morire dell'uva sui colli, che nella morte ringiovaniscono e nel morire risorgono? Desidero che la mia vita sia come il grano, che si dona e diventa alimento, vita, per molte persone. Desidero che dal mio morire, che dal mio andare fino in fondo, altri gustino la vita. Desidero che la passione della mia vita, il mio vibrare e il mio sangue siano ebbrezza, gusto, fuoco per altre persone. Vorrei essere per tutti voi un po' di pane e un po' di vino. Vorrei che la mia vita, che sta per finire, diventasse per voi e per il mondo alimento, vita, sapore, gusto, senso e felicità". Con queste parole Gesù affronta la sua sofferenza. Non gli sarà tolta: niente esternamente cambierà. Ma tutto sarà diverso, perché adesso c'è una preghiera, un senso su ciò che sta per accadere. "Nonostante tutto, al di là di tutti i motivi razionali, il tuo dolore sarà qualcosa di buono. Saprai, come nel pane e nel vino, che ciò che è frantumato crea nuova vita. La tua sofferenza diverrà nuova vita; anche se perdi la vita non morirai e, se ti lascerai portare, dalla tua morte tu meravigliosamente risorgerai a nuova vita". Cosa poteva donarci di più Gesù? Gesù non ci ha donato solo delle belle parole, dei bei miracoli, dei bei discorsi. Gesù si è donato lui stesso a noi. Questo è il vertice della vita. Quando non ti dono più delle cose, dei regali, alcune parti mie (l'intelligenza, la mia simpatia, i miei soldi, il mio fascino), ma ti do, ti dono, tutto me stesso. L'amore è donarsi. L'amore vuole darsi e darsi del tutto, fino alla fine, completamente. La vita che c'è in noi vuole darsi fino a viversi tutta. In ogni eucaristia noi celebriamo questo: l'eucaristia è un amore donato. E in ogni amore donato noi celebriamo un'eucarestia.

14, 26-42: il Getsemani. "Ho paura di morire e di morire da solo".

Mc ci presenta Gesù che prega: il Getsemani ("frantoio per l'olio"). Gesù avrebbe potuto fuggire, ma decide di andare fino in fondo alla sua missione. Gesù non viene descritto come lontano da Dio, s-fiduciato, senza la fiducia in suo Padre. Anzi, Gesù lo prega. C'è molta comunicazione tra lui e suo Padre. Mc descrive la paura di Gesù, che è terribilmente angosciato di fronte a ciò che sta per accadere. E' l'angoscia di finire nel nulla: "E se non ci fosse niente?". E' l'angoscia della lotta per la vita: "Non voglio morire, proprio io che porto misericordia, unità, salvezza; proprio io che guarisco e apro i cuori e le anime; proprio io che sono il vento che fa riscoprire agli uomini il loro cielo; proprio io?". E' l'angoscia per un supplizio che gli si prospetta terribile: "La croce! Lo scherno! L'essere svergognati! Il dolore! Oddio, salvami!". L'angoscia per sentirsi tradito: "Ma tu Dio dove sei? Ma se permetti questo, fai vincere il male, l'odio, i cattivi! Ma che Dio sei! Non eri mio Padre? Mi hai abbandonato? Non ti riconosco più!". E' la paura del fallimento: "Ho sbagliato tutto? Mi sono ingannato? Mi sono illuso?". L'angoscia del dubbio terribile: "Ho parlato di un Dio che non c'è?". Gesù continua ad essere in comunicazione con Dio, ma dall'altra parte tutte le paure, tutti i mostri interiori si materializzano. Da questo momento, per vivere come Gesù, ci dovremo confrontare con la paura della morte, della fine, del fallimento. Chi ha paura di morire ha paura di vivere. Per vivere bisogna aver guardato in faccia la paura della morte, esserci entrati dentro, averla affrontata e aver trovato ancoraggi più profondi.

In queste righe c'è, poi, tutta la solitudine di Gesù. Nessuno dei suoi amici, neanche i più intimi, Pietro, Giacomo e Giovanni, riescono a stargli vicino. Dormono. Cioè, non capiscono, non colgono la profondità, il dramma, cosa sia in questione. Vivono nella superficie, non si accorgono di ciò che sta accadendo. Sono addormentati, anestetizzati, sono così presi dalle loro cose e da tanto altro che non "vedono" la tragedia che si sta per compiere. Ma come si fa a dormire, ad essere tranquilli in momenti simili? Bisogna proprio essere assenti nel cuore per poter dormire! Gesù, ed è così umano qui!, chiede loro: "State con me; ho paura, so che non potete far nulla, ma almeno vegliate, non lasciatemi solo e in balia". Ma essi dormono. Gesù si accorge che non può contare su nessuno. E' solo. Tutti lo hanno abbandonato o dormono. Nessuno gli è vicino; nessuno lo comprende; nessuno lo consola. Gesù non può contare su nessuno. Eppure un giorno Gesù si "farà vedere" a questi amici che lo hanno tradito; si consegnerà a loro; non smetterà di credere nella bontà e nella loro possibilità di fare il bene e di vivere la verità e la libertà. Gesù, qui abbandonato da tutti quelli che dicevano di amarlo, ha fiducia in quei suoi amici. L'uomo, nel profondo, è buono; l'uomo nel profondo ama la verità, la libertà, la vita. E se può vincere le sue paure e la sua angoscia, vivrà senza tradire la sua vita. Gesù "vede" tutto questo: adesso lo tradiscono, ma lui vede più in profondità. Per questo è possibile con-fidare nell'uomo, nonostante tutto!

14, 26.-31. 66-72: il tradimento di Pietro. "Non so cosa vuoi dire!".

A Gerusalemme, probabilmente, nessun gallo poteva cantare perché era proibito dai rabbini tenerli. Forse, nessun gallo ha mai cantato! Ma non è questo il punto! Pietro è la roccia (Cefa', Pietro, roccia); è l'uomo che ostenta sicurezza: "Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò". E' l'uomo istintivo, d'azione, un uomo che, dice lui, non ha paura. Ma non è che Pietro non abbia paura; Pietro non la sente, la reprime, ignora totalmente alcuni sentimenti, che lo faranno agire, poi, così. Pietro rappresenta la nostra rettitudine morale, religiosa, il nostro credere di essere fedeli, la nostra esuberanza che ci fa dire: "Capiteranno agli altri queste cose, non di certo a me!". Pietro rappresenta la banalità con cui la gente si conosce, un idealismo e una superficialità che si dissolve di fronte alla vita. Gesù perdona Pietro prima ancora che lo tradisca. Come a dire: "Pietro non presumere troppo da te. Sii cosciente di ciò che sei. Sii cosciente che i tuoi alti ideali non sono radicati nella tua anima. Si, tu parli tanto, ma sono ancora parole Pietro: prima o poi, tutto verrà a galla!". E finché Pietro non si rende per davvero conto di ciò che lui è, di ciò che ha potuto fare, non può percepire che l'amore di Gesù e di Dio è più grande del nostro fallimento, del nostro sbaglio (e che sbaglio!) e del nostro errore. Dio non ci chiede di essere perfetti; ci chiede solo di essere umani, consapevoli di ciò che abbiamo dentro, dei nostri sentimenti, delle nostre paure e delle nostre fragilità. Perché ogni volta che presumiamo di noi allora, anche noi, spinti dalle nostre paure inconsce lo tradiremo dicendogli: "In verità, non ti conosco; non so cosa vuoi dire". E non ci accorgeremo dei nostri tradimenti!

Pietro, in quanto primo Papa, rappresenta la chiesa, i cristiani. Di fronte al pericolo si defila. Finché le cose vanno bene, sono facili, allora è semplice seguire Gesù. Quanti lo hanno seguito finché predicava, finché guariva. Qualche giorno prima era entrato a Gerusalemme tra canti, palme e ulivi. Ma adesso? Quando c'è da mettersi in gioco, da mettere in gioco quello che si è, da cambiare, da convertirsi, da trasformarsi, quando c'è il pericolo delle proprie scelte, allora la chiesa può agire come Pietro: rinnegare la verità, far finta di niente, tradire la propria strada. Quante volte si impreca, si spergiura, quante volte ci si difende con tutte le forze e ci si ribella quando seguire Gesù è pericoloso, è compromettente, doloroso, controcorrente! Quando Gesù ci chiama a testimoniare di persona, con la nostra vita, allora com'è facile tirarsi indietro! "Non so, non capisco cosa vuoi dire"! Quant'è facile nascondersi dietro a questa frase! E il gallo? Il gallo è la voce della coscienza che richiama Pietro una, due, tre volte. E' la voce della coscienza che ti urla: "Ma come fai a nasconderti, a tirarti indietro, a rinnegarlo per paura? Che uomo vigliacco che sei! Ma che uomo sei? E tu ti definisci uomo: dov'è la tua consistenza? Tu ami la verità: guarda qui". La coscienza dentro il nostro cuore continua ad urlare: "Sii fedele a te stesso, al tuo profondo, alla vita". E' solo quando ci rendiamo conto di quanto vigliacchi ci fa il non ascoltarla, di come ci deforma la paura di fare la nostra strada, di come ci riduce l'angoscia delle nostre scelte, per cui ci nascondiamo e rinneghiamo la verità (il pianto di Pietro), solo allora, tra lacrime e consapevolezza di quanto ci fa male tradire la nostra coscienza possiamo ascoltare la sua voce e seguirla.

14, 43-52: l'arresto di Gesù. "L'infamia e la falsità". Osserviamo semplicemente come si scagliano contro Gesù. Va da lui "una folla con bastoni e spade". Giuda, uno degli apostoli, lo bacia e lo tradisce, chiamandolo "Rabbì, maestro". Gli mettono "le mani addosso e lo arrestano". "E tutti, poi, abbandonandolo, fuggirono". E' l'infamia, il giudizio, della folla, della gente; del detto per sentito dire; di chi si scaglia e attacca per cose riportate da altri; del perché sembra, perché qualcuno ha detto. E' l'infamia di chi ti ferisce e ti bastona senza motivo. E' la falsità di chi ti sembrava amico. Di chi ti bacia (certi baci sono proprio come quelli di Giuda!), di chi ti sorride, di chi ti incensa e poi ti tradisce. E' la meschinità di chi nel pericolo se ne va: "Che si arrangi, non sono affari miei".

14, 53-65: Gesù davanti al sinedrio. "Il mio male lo vedo in te".

I capi del sinedrio e i sacerdoti cercano, e non li trovano, motivi per metterlo a morte. Molti attestano testimonianze contro di lui, ma sono così false e distorte dalla verità che non concordano. Alla fine trovano qualcosa, un qualche motivo per accusarlo. E' la distorsione della verità. Quando l'odio, la rabbia e tutto il sentimento interno scoppia e sfocia in un'aggressività che giudica, che vuole ferire, che vuole punire. E non importa chi ci sia davanti; non importa cosa l'altro abbia detto o fatto. Quando l'anima è piena di odio e di rabbia allora bisogna trovare qualcuno da infangare con il nostro male. Allora non esiste più l'altro nella sua verità, non esiste più l'obbiettività, esiste solo l'odio che esce, giudica, uccide e si scaglia contro l'altro. Quante persona insultano, schiaffeggiano, sputano addosso agli altri tutto il loro male. E non si accorgono che non sono gli altri a produrre quel male, ma è il loro male, il loro negativo, il loro marcio. Combattono negli altri il loro male. E facendo così, continuano ad uccidere e crocifiggere in nome di una verità falsa.

15, 1-15: Pilato. "Il vero potere".

Gesù è stato giustiziato dai Romani. Ma quale ruolo hanno avuto nella morte di Gesù? Difficile dire quanto Pilato abbia influito. Pilato coglie la forza, la profondità dell'uomo che ha davanti e anche l'inganno che stanno per tendergli. Pilato coglie "l'invidia", l'odio con cui glielo hanno consegnato. Potrebbe lasciarlo andare. Lui sì che potrebbe fare qualcosa. Lui decide, lui può decidere per la vita o per la morte di Gesù. Fa anche un flebile tentativo: "Volete che vi rilasci il re dei Giudei?". Ma sa già la risposta: perché altrimenti non glielo avrebbero consegnato. Cerca di acquietare la sua coscienza, di dire: "Io ho fatto quello che potevo. Di più non mi era possibile". Ma prenderne le parti non è una decisione politicamente saggia. Sarebbe compromettersi, e con un popolo come quello ebreo non è bene. Saggio è, invece, accontentarli. E lo fa. L'unica cosa che gli interessa è il potere, aver meno problemi possibili e non incrinare i rapporti politici. Pilato sembra comandare, essere il potente, e, invece, è intrappolato nel gioco del consenso, dell'approvazione, del successo, del possesso, del detenere il potere. Sembra comandare, sembra essere il re e, invece, Mc ce lo rappresenta come l'impotente, colui che non può agire. Gesù, invece, è il vero re: è l'uomo libero, liberato dalla paura della morte, del giudizio e dell'apparire. Pilato, invece, non può deludere; non può manifestare il suo dissenso; non ha il coraggio di prendere una posizione chiara; cerca un compromesso, ma cede subito; è l'uomo che si omologa, che va dove vanno tutti. E si crede il re. Si crede il governatore, si crede di avere il potere. Quale potere?

15, 16-23: Gesù ancora oltraggiato. "L'odio è senza fine".

Gesù non solo è condannato, torturato, flagellato, ma è anche umiliato, deriso e svergognato. Cosa si poteva fargli ancora? Lo rivestono di porpora, gli mettono una corona di spine per dirgli: "Oh, guarda il re d'Israele; non sei il figlio di Dio; dì che venga ad aiutarti adesso tuo Padre". Lo percuotono, gli sputano addosso, si inchinano e lo prendono in giro. Poi lo conducono sulla via della croce. Ma cosa è davvero più orribile: stare là nudi, esposti, essere sputati, frustati come un cane, picchiati, esposti al ludibrio di tutti come uno zimbello, oppure è più terribile poter agire così, vivere una vita falsa, d'illusione, sotto la spinta dell'angoscia, della dipendenza, della paura? E' più terribile soffrire ingiustamente o vivere e continuare a "sputare" male, giudizi, rovina addosso agli altri (è il nostro male che sputiamo addosso agli altri!)? E' più terribile vivere una vita autentica anche se conquistata nel dolore e nel travaglio o lasciarsi vivere, vivere una vita senza senso, nella difensiva e nella paura? E' più terribile osare, rischiare di perdere la vita, ma vivere oppure non vivere mai per paura di perderla?

15, 24-38: la crocifissione e la morte. "Guardare la croce per capire".

Guardiamo la croce per capirne il senso profondo. Qual'é il senso della croce, della crocefissione e della morte di Gesù? Ho bisogno di so-stare per entrare nel suo mistero. Dio viene appeso ad una croce. Con Gesù muoiono tutte le speranze, chi aveva lottato con lui, chi aveva coltivato il desiderio e l'attesa di qualcosa di nuovo, di diverso, di vero, per lui e per questo mondo. Cos'avranno vissuto le persone che Gesù aveva guarito? Cos'avrà vissuto la Maddalena guarita da 7 demoni? Cos'avrà vissuto Zaccheo, i sordi che tornavo a sentire, i muti che tornavano a parlare, i ciechi che tornavano a vedere, i morti che tornavano a vivere? Cos'avranno vissuto, cos'avranno provato nel vedere che chi gli aveva dato la vita, adesso è appeso, attaccato come il peggiore dei farabutti ad una croce? Sapere che quell'uomo è proprio Dio ("Per davvero mi ha guarito; per davvero mi ha ridato la vita; per davvero mi ha risorto"), che quell'uomo viene in nome della verità, che quell'uomo parla perché ispirato da Dio, e vederlo in croce: cosa si prova? Dove finiscono tutte le nostre sicurezze nel vedere ciò? Cosa si può provare nel vedere chi si ama appeso ad una croce?

Chi è il colpevole della tragedia dell'Iraq o dei 15 milioni di bimbi che muoiono annualmente di fame? Chi è colpevole della povertà del mondo? Nessuno. Di chi è la colpa della morte di Gesù? Nessuno, è chiaro! Tutti avevano buoni motivi: Caifa', "la necessità storica"; Pilato "la ragione politica e il mantenimento dell'ordine"; Pietro "la mia semplice sopravvivenza"; i sadducei "la legge"; i farisei "la religione"; le persone rispettabili "la morale"; i soldati "l'obbedienza". Ognuno aveva i suoi validi motivi, ma erano sufficienti? O non era un tentativo di tranquillizzare la propria coscienza? Di lavarsene le mani? "Non si può fare niente per questa cosa"?

La croce è l'abbandono totale di Gesù nelle mani del Padre e della vita. Quando, cioè, tu vivi l'esperienza dell'impotenza, del non poter fare più niente per te e dell'affidarsi a Qualcosa o a Qualcuno. Viene un momento in cui più niente, né noi, né altri, possiamo agire. Allora dobbiamo solo lasciarci andare, fidarci, rimetterci. E' quando più niente è sicuro ma tutto è vacillante: la vita, la fede, l'esistenza stessa di Dio. Si smette di voler capire, di voler sapere, di trovare ragioni o giustificazioni, e semplicemente ci si abbandona.

La croce è lo scontro fra due religioni: quella di Gesù e quella degli ebrei. La religione dei farisei e degli scribi è la religione della forma, della maschera. Qui contano i grandi numeri, l'istituzione, l'ordinamento e l'obbedienza. Non importa se le leggi distruggono le persone o li appesantiscono di sensi di colpa o di fardelli insopportabili. Ciò che conta è la legge, il rispetto ossequioso alla norma. Più cose fai e più sei bravo. Gesù, invece, amava la vita, non la sofferenza. Gesù dava voce alle persone, le ascoltava, dava attenzioni ai bambini, alle donne, a chi era escluso dalla società; nessuno era impuro per Gesù, lebbroso, prostituta o pagano che fosse, perché tutti per lui erano figli dell'unico Padre. Gesù non faceva molti sacrifici, non digiunava, non si comportava scrupolosamente rispetto alle regole. Era molto libero, mangiava e banchettava spesso, faceva festa e amava la compagnia e la felicità. Perché sapeva che il vero sacrificio, il vero digiuno, la vera croce non era fare qualcosa, ma fare della propria vita qualcosa di vero, di importante e di significativo. Non cercava sacrifici o sofferenze. Anzi se le evitava. Gesù non reprimeva l'amore, il contatto con le donne, gesti equivoci come le donne che lo accarezzavano o che lo baciavano. Gesù piangeva. Gesù si arrabbiava. Come era dentro, così era fuori. Gesù si stupiva e si commuoveva. Talvolta era così felice da toccare il cielo e da trasfigurarsi. Altre volte piangeva per l'incomprensione o perché non sentiva i suoi amici appoggiarlo o capirlo. Gesù non voleva che nessun uomo si reprimesse o vivesse la sua vita al di sotto delle sue possibilità. Gesù voleva e diceva a tutti che molti mali possono essere guariti, che tante infermità del cuore e dell'anima possono essere risanate, perché noi viviamo e siamo fatti per la felicità profonda e vera. Gesù voleva che fossimo umani. Che non c'è niente di ciò che viviamo che sia indegno agli occhi di Dio, da nascondersi. Che davanti a Dio possiamo presentarci per quello che siamo, senza falsi teatrini o belle maschere. In croce finisce tutto questo. Questa era la religione di Gesù. Questa religione hanno tentato di crocifiggere, di eliminare, di distruggere e di far morire. Ma la verità può essere nascosta, ignorata, ma mai distrutta. E, infatti, non solo Gesù è risorto, ma con lui anche la sua pretesa del regno dei cieli e di questa religione. E quando il venerdì santo andremo a baciare la croce, andremo a baciare questa religione, cioè la religione di Gesù, della vita, dell'amore, della verità. Non esiste niente di più anticristiano di chi dice che bisogna amare la sofferenza nel nome di Gesù. Cristiano è, invece, combattere il più possibile la sofferenza, la malattia e schierarsi dalla parte della felicità. Andremo a baciare la croce perché, nonostante tutto, la religione di Gesù non è stata sconfitta: Dio, risorgendo il suo Figlio, ha dimostrato che questa è l'unica e vera religione. Ciò che viene da Dio non muore mai. Può essere perseguitato, ucciso, deriso, umiliato, annientato, ma non può morire. Dio è l'unica realtà. Ciò che viene da Lui; chi si affida a Lui, non muore mai.

15, 38-41: il centurione e le donne. "Chi non vede e chi vede".

Di fronte a ciò che sta accadendo sotto la croce c'è un centurione, un soldato, uno che ha obbedito agli ordini. E' l'uomo che ha sempre obbedito, che non ha riflettuto per conto suo. Ha eseguito ciò che altri avevano stabilito. Fa' quello che tutti fanno. E' l'uomo che ha rinunciato a pensare, che ha delegato le sue responsabilità alla tv, ai sistemi, agli esperti. Ha appaltato il suo cervello ad altri. Non ha voluto faticare: si è adattato, omologato, ha seguito il pensiero dei più, quello comune, quello già digerito da altri. E adesso si rende conto di aver preso, inconsapevolmente, parte ad un dramma e ad una tragedia di cui anche lui, senza saperlo, ne è stato colpevole. "Davvero quest'uomo era figlio di Dio". Vivere senza pensarci, trascinati dagli altri, senza consapevolezza, senza ragione critica produce nuove crocifissioni. Ognuno è responsabile della sua vita, delle sue scelte, e anche di non aver scelto.

Sotto la croce ci sono queste donne che guardano da lontano. E' un caso che ci siano solo delle donne a stare con Gesù? Dove sono gli uomini? Dove sono gli apostoli, i suoi fedeli amici? E' un caso che le prime testimoni della resurrezione, in tutti i vangeli, siano delle donne? O non è un messaggio forte per noi. E' la donna, solo la parte femminile di ogni persona che può cogliere la resurrezione. Chi non conosce la tenerezza, l'amore, l'affetto, lo stupore, il pianto, i sentimenti, la disperazione, il dolore, l'impotenza, la paura, non può "vedere" nessun Gesù. Solo chi conosce la vita, la vive, la sente (pensate ad una madre); solo chi conosce quanto sia doloroso partorire, far nascere la vita; solo chi conosce l'amore, chi sa provare qualcosa nel cuore e percepire l'altro, solo costui potrà "vedere" il risorto, che la vita non ha fine, e che l'amore è più forte di tutto.

15, 42-46: Giuseppe d'Arimatea. "Fai la tua scelta".

E' un uomo membro autorevole del sinedrio, quindi, complice della morte di Gesù. D'altra parte, però, è un simpatizzante di Gesù, è uno che sogna, che ha desideri grandi, uno che sa che in quell'uomo è stata compiuta un'ingiustizia, tanto che va a prenderne il corpo. E' l'uomo che non ha saputo schierarsi quand'era ora. E' rimasto, membro autorevole, nel sinedrio. Ma amava e intuiva la verità della pretesa di Gesù. Non si è compromesso. E adesso, adesso che più niente può, va coraggiosamente da Pilato a chiedere il corpo. (Le salme dei giustiziati dovevano essere deposte in cimiteri appositi solo con altri malfattori. Lì rimanevano decomponendosi per un anno. Dopo di che la colpa poteva dirsi espiata e le ossa potevano essere raccolte nelle tombe della famiglia. In ogni caso il lutto era vietato). Adesso si rende conto e offre la sua tomba. Adesso vive il peso del rimorso di non aver osato, forse, far di più. Adesso lascia ogni compromesso, ogni equilibrio e si schiera apertamente. Adesso si mette apertamente dalla parte di Gesù. Perché ogni volta che non ci schieriamo, che non prendiamo una posizione come Giuseppe d'Arimatea, ci rendiamo colpevoli di ciò che accade, in balia della nostra paura di comprometterci, riempiendoci di sensi di colpa e di rimorsi per ciò che avremmo dovuto fare e che non abbiamo fatto. Bisogna prendere una posizione. Bisogna schierarsi, non si può essere neutrali, con un piede di qua e uno di là. "Fai la tua scelta".

15, 46: le donne continuano ad osservare. "L'amore è più forte".

L'amore non si arrende, l'amore non può credere alla fine, alla morte. Chi vive nell'amore conosce l'eternità. Anche quando tutto sembra dire il contrario, anche quando tutto sembra finito, l'amore conosce l'eternità. L'amore vuole "per sempre". Queste donne non si arrendono all'evidenza dei fatti perché conoscono l'evidenza del cuore, dell'anima, della vita e di Dio. E proprio per questo sperare al di là di ogni speranza; per questo credere al di là di ogni ragionevole credenza; per questo amare al di là della fine, proprio loro saranno le prime testimoni della resurrezione. Avevano visto bene: l'amore è più forte.

Pensiero della settimana

"Chi obbedisce alla sua anima
può far a meno delle ingiurie come delle lodi".
(C. G. Jung)
Fonte:www.qumran2.net

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